Con un emendamento al ddl sicurezza in esame in commissione alla Camera, il governo Meloni propone di intervenire sulla legge a sostegno della filiera della canapa ad uso industriale, con quantità di Thc inferiore allo 0,2%. Nello specifico, l’emendamento vieta la coltivazione e la vendita delle infiorescenze della cosiddetta cannabis light per usi diversi da quelli espressamente indicati nella legge stessa e quindi quelli industriali consentiti. Il commercio o la cessione di infiorescenze viene punito con le norme del Testo Unico sulle Sostanze Stupefacenti, parificando la cannabis light a quella non light.
L’iper-proibizionismo sulla cannabis light: il governo colpisce anche una non-droga
«È la solita cinica campagna elettorale della destra quando ci si avvicina alle elezioni», commenta ai nostri microfoni Luca Marola, colui che con Easy Joint ha dato l’impulso per la creazione del mercato della cannabis light in Italia. Marola cita quanto accaduto esattamente cinque anni fa, a ridosso delle elezioni europee, quando avvenne un’analoga demonizzazione della cannabis light.
Tuttavia la scienza e la giurisprudenza in Italia offrono ancora alcune garanzie e, sottolinea Marola, «non si può trasformare una zucca in carrozza».
Nello specifico, è l’equiparazione della cannabis light alle sostanze stupefacenti che non regge. I parametri e i criteri per considerare droga una sostanza non sono assoggettabili alla volontà della maggioranza di governo, specie se all’interno del contesto europeo in cui ci troviamo.
È allora perché presentare un emendamento di questo tipo? «Per mostrare una fermezza securitaria al proprio elettorato», osserva Marola, che per la cannabis light si trova proprio a processo.
Qualora venisse approvato, un provvedimento del genere quale impatto potrebbe avere? Marola formula tre ipotesi. La prima è che la norma abbia una mera funzione propagandistica e non venga di fatto applicata, proprio come è successo con il decreto anti-rave che non ha prodotto nulla.
La seconda ipotesi è che, oltre alla norma, intervenga l’apparato repressivo, colpendo anzitutto le strutture commerciali del settore. La terza ipotesi, connessa alla precedente, è che ciò avvenga “all’italiana”, per iniziativa di qualche procuratore «che vuole farsi notare alla politica e in un determinato territorio distrugge tutto e manda a processo le persone».
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