Mentre gli occhi del mondo sono puntati sull’Ucraina, il più grande tra i nostri vicini di casa, la Francia, si prepara a tornare alle urne. Il 10 aprile si terrà il primo turno delle presidenziali. Quel giorno e nel prevedibile ballottaggio, previsto per il 24 dello stesso mese, i francesi saranno chiamati a scegliere il successore di Emmanuel Macron. A concorrere sono dodici candidati, ma solo alcuni raggiungono percentuali di consenso significative.

Cambiamento climatico, biodiversità ed ambiente: verdi e sinistra radicale meglio di tutti, male Macron e malissimo l’estrema destra

Tra i temi della campagna elettorale si è fatta strada una questione fino a pochi anni fa assolutamente marginale nello scenario politico d’oltralpe: la crisi eco-climatica. Dopo l’ondata ecologista del 2019 – quella di Greta Thunberg e degli scioperi mondiali per il clima – i verdi francesi avevano registrato un’inedito exploit alle elezioni europee, arrivando a sfiorare il 15% dei voti. Nello stesso anno il presidente Macron aveva promosso la Convenzione Climatica, un’assemblea consultiva formata da cittadini estratti a sorte che discutesse policy climatiche da proporre poi al Parlamento.

La questione ecologica, insomma, è ormai presente nel dibattito pubblico. Ma la situazione internazionale ha parzialmente spento i riflettori sul tema, e le proposte dei candidati in tema di ambiente, biodiversità e clima, sono poco raccontate dai media.

LE ANALISI

A rimediare a questa parziale amnesia dell’elettorato francese ha pensato Greenpeace, la più radicale tra le grandi ong ecologiste globali, che nelle scorse settimane ha pubblicato un dossier in cui passa ai raggi x i programmi verdi dei candidati all’Eliseo. Quello che emerge dall’analisi dell’associazione è uno scenario nel complesso non sorprendente – la destra ne esce molto male, la sinistra si difende – ma comunque ricco di spunti.

Com’è prevedibile, il giudizio peggiore è riservato ai candidati dell’estrema destra. Eric Zemmour, l’astro nascente del populismo xenofobo quarto nei sondaggi, «semplicemente non ha una visione ecologica» secondo Greenpeace, «ed è così ossessionato dalla sua stessa retorica sulle fantasie di sostituzioni etniche da mancare completamente le grandi questioni ambientali e climatiche». Non va meglio a Marine Le Pen, volto ormai storico dell’ultradestra francese e probabile sfidante del presidente uscente al ballottaggio. Nonostante l’impegno nel ripulire la sua immagine dalle scorie neofasciste del suo partito, presentandosi sempre più come candidata moderata e moderna, il suo programma è giudicato impietosamente. «Come le industrie inquinanti, Marine Le Pen ha cercato di dipingere di verde il suo programma… ma sembra più greenwashing che una vera conversione all’ecologia. Le poche proposte sull’ambiente sono soprattutto un modo per proporre un progetto xenofobo di ritiro identitario e nazionalista» è il sunto degli ecologisti.

Va un pò meglio, ma non troppo, il centrodestra, Valerie Pécresse, candidata de Les Republicains, «nasconde un programma estremamente lacunoso sulle questioni climatiche ed ambientali». Il programma di Emmanuel Macron, presidente uscente e grande favorito di questa elezione, «ha il merito di essere coerente con il suo curriculum: estremamente debole». L’attuale inquilino dell’Eliseo ha puntato tutto sul nucleare come soluzione definitiva per la decarbonizzazione del sistema energetico. Una scelta bocciata da Greenpeace, che lo attacca anche sugli altri fronti: «[Macron non dice niente] sulla condivisione dello sforzo economico di fronte alla crisi ecologica e niente sulla regolamentazione ambientale degli attori economici e finanziari. Niente sul disinquinamento dei flussi finanziari, la fine dei sussidi dannosi per il clima o delle nicchie fiscali anti-ambientali. Niente sulla trasformazione del settore automobilistico, non una parola sul rilancio delle ferrovie e lo sviluppo di modi di trasporto alternativi all’automobile, e non una parola sulla sfida della riduzione del traffico aereo. Niente sull’uscita dagli allevamenti intensivi, niente di serio sulla conservazione della biodiversità».

@Greenpeace France

La partita dell’ecologia, insomma, si gioca tutta a sinistra. Un dato che è già una cattiva notizia in una tornata elettorale dove il primo candidato della gauche nei sondaggi – Jean Luc Mélenchon – è terzo e ben distante dall’accesso al ballottaggio. Da questo lato dell’emiciclo, poi, si distinguono in negativo le forze tradizionali, sempre stando al dossier di Greenpeace.

Il comunista Fabien Roussel, accreditato attorno al 4% dalle ultime rilevazioni, è promosso sostanzialmente solo sul tema della difesa della biodiversità. Per il resto il suo programma non convince gli attivisti che, anzi, lo accusano di scimmiottare l’estrema destra nella difesa di carne e mobilità privata. Il riferimento è all’assenza di questi temi nel programma, ma anche ad alcune uscite pubbliche del candidato del Parti Communiste, che ha spesso etichettato il tema della riduzione dei consumi di prodotti animali o dell’automobile come questioni da radical-chic. Anche la scelta di difendere il nucleare – a differenza del resto della sinistra – influisce negativamente sul giudizio. Va meglio ma non brilla Hanne Hidalgo, sindaca di Parigi e candidata di un Partito Socialista in crisi e sotto il 2% nei sondaggi. «Non male ma niente di che. L’ecologia è effettivamente presente nel suo programma, ma manca di ambizione globale» è la sintesi. Di lei piacciono l’obiettivo del 100% rinnovabile e la («seppur timida») patrimoniale climatica, ma pesano le assenze: «niente sugli allevamenti intensivi, niente sulla biodiversità».

Chi viene promosso allora? Per Greenpeace solo Yannic Jadot e Jean Luc Mélenchon, verdi e sinistra radicale. Con qualche differenza – il primo potrebbe osare di più contro le aziende inquinanti, il secondo potrebbe essere più netto contro la mobilità privata – ma sostanzialmente a pari merito.

Yannic Jadot, candidato di Europe Ecologie Les Verts con un passato proprio in Greenpeace, è promosso a pieni voti. Propone di finanziare la transizione con le tasse ai ricchi. Vuole il rilancio della ferrovia, lo stop ai voli brevi (già implementato in forma molto timida dall’attuale esecutivo) e il divieto alla vendita di auto a combustione entro il 2030. Parla di 100% rinnovabile «con obiettivi quantificabili» e si impegna sulla biodiversità con lo stop ad ogm, allevamenti intensivi, estrazione in alto mare e «deforestazione importata», cioè l’acquisto di beni prodotti altrove con ampio sacrificio di alberi. Al momento Yadot è sesto nei sondaggi, con una percentuale di consenso che oscilla tra il 4% e il 6%.

@Greenpeace France

«Jean Luc Mélenchon ha due obiettivi» si legge nel dossier «giustizia sociale e rispetto degli Accordi di Parigi», ovvero gli impegni sulla riduzione delle emissioni e la difesa dal collasso climatico siglati dalle Nazioni Unite nel 2015 proprio nella capitale francese. Questo si traduce in una «tassa sui grandi inquinatori» per finanziare le policy climatiche, stop alla pubblicità per i settori inquinanti, eco-condizionalità per gli aiuti di stato – ovvero divieto di accesso a fondi pubblici per le aziende che non rispettano certi impegni di riconversione ecologica – e contabilità obbligatoria delle emissioni per le corporation. Per quanto riguarda l’energia Mélenchon parla di 100% rinnovabile al 2050 e stop ai sussidi ai fossili – una misura quest’ultima indicata anche dall’Onu come «urgente» per il contrasto alla crisi climatica. Sul cibo si parla di stop agli allevamenti intensivi, ai pesticidi e ai nuovi ogm. Sul trasporto supporto alle ferrovie e forti limitazioni ai voli. Mélenchon è terzo nelle rilevazioni e, ad oggi, è l’unico candidato della sinistra con qualche speranza di accedere al ballottagio. I sondaggi lo danno al 15%, circa cinque punti percentuali sotto la seconda in classifica Marine Le Pen.

@Greenpeace France

L’analisi di Greenpeace France è la più completa tra quelle che raffrontano i programmi verdi dei candidati alle presidenziali di quest’anno. Ma non è l’unica. Alle politiche climatiche è dedicato lo studio congiunto del think-thank The Shift Project e France Info, l’emittente radiofonica all-news di proprietà dello stato francese. A differenza del dossier di Greenpeace questo lavoro si concentra solo sul contrasto al riscaldamento globale, adotta una metodologia più scientifica e quantificabile e, sopratutto, proviene da un ambiente ben diverso. Se infatti Greenpeace è storicamente un’associazione politicamente schierata a sinistra, France Info è una testata statale, e The Shift Project è finanziata da alcune delle più grandi aziende pubbliche francesi – comprese Snfc, il vettore ferroviario, e Edf, principale produttore e distributore di energia in Francia.

Non è scontato, quindi, che i due studi giungano a conclusioni simili. Ma nonostante questo la classifica stilata dalla radio ricorda da vicino quella che vi abbiamo appena raccontato. Nessuno dei candidati è considerato «vicino» al rispetto degli Accordi di Parigi di cui parlavamo sopra. Anche qua, però, Yadot e Mélenchon svettano, unici ad essere considerati «abbastanza vicini» al rispetto degli stessi. La socialista Hidalgo, il liberal Macron e il comunista Roussel – nonostante le forti differenze ideologiche – finiscono nello stesso calderone, quello dei «lontani» dalla sufficienza. Pécresse e Zemmour sono «molto lontani» mentre l’ultimo gradino del podio è occupato da Le Pen, che assieme al sovranista Dupont-Aignain non solo è «molto lontana» dal rispetto degli Accordi, ma propone anche policy «dannose» rispetto ai target di riduzione delle emissioni. In particolare il think-thank gli rimprovera l’abbassamento indiscriminato delle tasse sull’energia, anche fossile, e la lotta contro l’eolico, marchio di fabbrica della destra francese mutato dalle simili campagne di Donald Trump negli Usa. È interessante in questo caso anche dare un occhiata ai “piccoli”. Poutou del Nuovo Partito Anticapitalista, ad esempio, condivide con la destra xenofoba di Zemmour il giudizio di «molto lontano» dal rispetto degli Accordi, mentre la troztkista Arthaus e il liberaldemocratico Lassale si spartiscono il poco invidiabile ultimo gradino del podio, quello dei «non classificabili», coloro il cui programma climatico è così scarno da non poter essere giudicato.

@France Info

COME LEGGERE QUESTI DATI

Uno studio simile a quello di The Shift Project era uscito nel settembre scorso in occasione delle elezioni generali tedesche. In quel caso i ricercatori di Konzeptwerk Neue Ökonomie avevano provato a calcolare se l’applicazione dei programmi dei diversi partiti in gara avrebbe permesso di restare all’interno del carbon budget, cioè di quella quantità di gas climalteranti che ogni paese può produrre prima di superare la soglia degli 1.5°C gradi di aumento della temperatura rispetto ai livelli preindustriali – una cifra considerata «preferibile» dalle Nazioni Unite. Anche in Germania nessuna forza politica veniva considerata in grado di rispettare gli Accordi di Parigi, e tutte le proposte finivano con lo sforare il carbon budget. E tuttavia anche lì tra i partiti risultavano profonde differenze. A fare meglio di tutti in quel caso era Die Linke, la sinistra radicale, seguita a stretto giro dai Verdi. Appaiati e a grande distanza figuravano Socialdemocratici e Cristiano-democratici, mentre la destra radicale dell’Afd non era sondata e peggio di tutti facevano i liberali del Fdp.

@Statista

Lo scenario politico tedesco è chiaramente differente da quello francese, ma è possibile ipotizzare almeno alcuni trend comuni. E’ notevole innanzitutto il buon risultato ottenuto in entrambi i casi dalla sinistra radicale – Die Linke e Mélenchon – sempre ai primi posti. Giudizi non scontati, specie quando vengono non solo da associazioni ambientaliste, ma anche da think-thank ben più istituzionali. Non sorprende ma è comunque rilevante il lavoro dei verdi, che peraltro hanno ottenuto un risultato importante in Germania e che in Francia, pur lontani dai numeri dei cugini tedeschi, si avviano verso un risultato significativo.

Non sorprende anche il cattivo lavoro delle destre, mentre è interessante il giudizio impietoso ricevuto da Macron da un lato e dei liberali del Fdp dall’altro. Il mondo liberaldemocratico e centrista ha speso capitale politico per accreditarsi come ecologista, eppure gli analisti continuano a bocciarne le proposte. Uniche differenze davvero significative tra lo studio tedesco e i due dossier francesi è la presenza di una forza di sinistra radicale disinteressata all’ecologia – Il Pcf francese, senza corrispondenti in Germania – e il ruolo dei socialisti, che sembrano essere più green a Parigi di quanto non lo siano a Berlino.

Sarà interessante vedere se queste tendenze saranno confermate in altre elezioni europee, anche nell’area mediterranea dove storicamente le forze ecologiste sono più deboli e la questione climatica meno presente nell’agenda pubblica. Di certo c’è che, in vista del voto del 10 aprile, il bilancio per chi si occupa di clima e ambiente non è entusiasmante. La buona notizia è che tutte le forze politiche – anche le destre – devono ormai almeno fingere di presentare policy verdi, e le questioni ecologiche sono discusse nell’arena pubblica come mai prima d’ora. La cattiva notizia è che i due candidati promossi dagli analisti – Yadot e Mélenchon – collezionano assieme meno del 20% dei voti. Poco per permettergli di agire con l’urgenza e la radicalità che la scienza del clima e il collasso di tutti gli indicatori ecologici richiederebbe.

Lorenzo Tecleme