“Caduto fuori dal tempo” in scena fino al 24 aprile all’Arena del Sole, una produzione del centro Teatrale Bresciano, TPE Teatro Piemonte Europa e ERT con Elena Bucci e Marco Sgrosso che parte dal testo di David Grossman edito in Italia per Mondadori con la traduzionedi Alessandra Shomroni.

Il testo di Grossman, scritto quattro anni dopo la morte del figlio, in guerra sul fronte libanese avvenuta nel 2006, affronta il dolore di coppie di genitori per la perdita di un figlio.

“E’ un’opera in cui si precipita, risucchiati da un vortice di dolore che dalle prime righe si fa canto, le parole si moltiplicano facendosi sinfonia nella loro musicalità, che rende “cuntu”: un compianto a due voci che si arricchisce di echi e sfumature nel librarsi dal buio iniziale verso lo spiraglio di una luce nuova.” Scrive Marco Sgrosso nella locandina dello spettacolo.

Tutto il testo gioca sull’idea del rimanere senza parole alla morte di un figlio o figlia e del riuscire, solo dopo molto tempo, a riacquistare la parola e la capacità di sentire la voce del compagno o della compagna. Dal momento che si viene investiti dal lutto, il dolore è totalizzante, un buco nero che impedisce ogni altro pensiero, suono, parola in entrata e in uscita, poi, col tempo, un tempo inquantificabile, un tempo fuori dal tempo, si sente il bisogno di trasformare quel grumo di dolore in racconto, in scrittura, in canto, in parole.

Durante lo spettacolo gli spettatori e spettatrici conoscono diverse coppie di genitori che stanno cercando di affrontare quella perdita e ognuno o ognuna trova un diverso modo di dare risposta a quell’indicibile dolore ritrovandosi poi tutti e tutte ugualmente in una specie di limbo tra la vita e la morte, tra il qui e il laggiù, fuori dal tempo, prossimi a una catarsi. L’Uomo che ha camminato e camminato verso il “laggiù” per ritrovare il figlio perduto in guerra, si scopre infine accanto alla Donna che aveva deciso di non andare verso il “laggiù”, ma di restare, convinta che non esista il “laggiù”, i loro percorsi si ricongiungono ed essi si scoprono capaci nuovamente di respirare pur nel dolore e di trasfigurare lo strazio in un suono, in una voce che arrivi dallo spazio/tempo dei vivi a quello della morte e porti altri messaggi dal “laggiù” a quello spazio di incontro fuori dal tempo placando il desiderio di ricongiunzione dei vivi.

Semplice, ma efficace la messa in scena che utilizza l’apertura di tende nei fondali come porte che mostrano uno spaccato delle case delle coppie o dei singoli genitori in lutto. Ben fatte le luci che creano atmosfere evanescenti, indefinite e suggestive. Plauso al fisarmonicista in scena, Simone Zanchini, che con la musica accompagna il percorso di elaborazione del lutto dei diversi personaggi supportato da suoni pre registrati e musiche davvero ben scelte ed inserite nella drammaturgia a cura di Raffaele Bassetti.

Momenti intensi dello spettacolo sono quelli in cui la voce di Bucci e Sgrosso si fa canto: il canto di una madre prigioniera del suo dolore rappresentato da una rete invalicabile, che ricorda la figlia morta a un anno e mezzo di vita e che traduce in una ninna nanna a se stessa i suoi pensieri luttuosi; il canto di un padre, un ciabattino, che picchia i chiodi sulle scarpe accompagnandosi con strofe della “Siminzina”, nota ninna nanna siciliana; il risuonare del “Don, don din don don din don, din don, nanìn” della celebre ninna nanna di Minghidoro “Fa la nana” ad addormentare non più un figlio ma un orsacchiotto, unico ricordo rimasto di chi non c’è più.

Nell’ indefinito spazio fuori dal tempo in cui avviene un contatto tra i vivi e i morti, mentre l’ambiente si riempie di fumo e bagliori di luce creano un luogo per ciò che non può avere una reale fisicità, risuona la musica di Léo Delibes dalla Lakmé a confortare tanto i personaggi quanto chi è in sala dopo un percorso così difficile di attraversamento del lutto.

Spettacolo indubbiamente di grande impatto emotivo, delicato e ben strutturato. Durante una pandemia come quella che stiamo affrontando e al riaffacciarsi nelle nostre vite della parola guerra, era forse necessario che anche il teatro affrontasse il tema della morte con i suoi strumenti, usando le parole di autori, come Grossman, che sono riusciti a mettere su carta il loro viaggio ai confini della morte.