Vie Festival presenta, in prima nazionale al Teatro Storchi di Modena, Burning Doors : uno spettacolo di Belarus Free Theatre che vuole portare l’attenzione del pubblico sulle condizioni di detenzione degli artisti ed attivisti che hanno osato protestare contro i regimi esistenti nei loro Paesi.
Belarus Free Theatre arriva allo Storchi
Burning Doors mette in scena quello che accade nei Paesi in cui vengono soppresse le libertà d’espressione ai dissidenti incarcerati, e lo fa attraverso tre storie vere di artisti rinchiusi per aver inscenato delle proteste contro il sistema.
Sul fondo della scena tre porte di celle che si aprono prima per raccontare la carcerazione delle due componenti delle Pussy Riot’s condannate dopo la loro dissacrante performance in una chiesa di Mosca e sottoposte settimanalmente a umilianti perquisizioni vaginali; poi per portare l’attenzione sulle vicende del performer Petr Pavlensky che fu arrestato nel 2015 per aver incendiato le porte del Fsb, l’ex Kgb, in piazza Lubianka a Mosca mentre inscenava una performance per richiamare l’attenzione sull’impunità di cui godono i Servizi di Sicurezza Federali; nonché per denunciare la condanna a 20 anni di carcere comminata nel 2015 al regista Oleg Sentsov, ufficialmente per attentati terroristici in Crimea.
Lo spettacolo non vuole presentarsi come “teatro politico”, afferma il direttore della compagnia Nicolai Khalezin, “l’unico teatro politico l’ha fatto Brecht, con un’idea di sinistra, non ci sono nuove idee da portare in teatro. Se un teatro si rivolge al pubblico con problemi attuali si chiama teatro attuale e non politico perchè non può rispecchiare una sola verità visto che ci sono tante verità”.
Burning Doors non tende ad avvalorare le opinioni nè delle Pussy Riot’s, una delle cui componenti, Maria Alyokhina, si è unita alla compagnia per questo lavoro, né tantomeno quelle degli altri due artisti, piuttosto sostiene la loro libertà di manifestare opinioni differenti da quelle sostenute dai regimi esisteti in Bielorussia, in Russia e Ucraina e l’inumanità delle torture inflitte ai detenuti per motivi politici.
La compagnia Berarus Free Theatre si è formata nel 2005 a Minsk in Bielorussia “e subito è stata osteggiata dal partito al potere di Aleksandr Lukašenko- racconta la co- fondatrice Natalia Kaliada, alcuni componenti sono stati incarcerati e molti di noi si sono trasferiti a Londra da dove continuiamo a lavorare”. Le prove degli spettacoli avvengono in parte a Londra, in parte a Minsk, dove alcuni ancora lavora clandestinamente, parte via web o durante residenze artistiche in diversi Paesi. Quanti stanno a Minsk sono continuamente controllati. Si esibiscono in garage, case private e sarebbero passibili di arresto se scoperti a parlare dei temi che solitamente sollevano sulla libertà d’espressione.
Lo spettacolo, spiega la compagnia nell’incontro che segue la performance, è nato dopo l’invasione della Crimea da parte della Russia, quando si avviarono le trattative di pace in Bielorussia e gli artisti si sono cominciati a domandare “come avrebbe potuto una dittatura trattare le condizioni di pace, di fatti non poteva e lo dimostra il fatto che l’Ucraina è ancora un Paese in Guerra, una guerra dimenticata”.
Quando prima Olef Sentsov è stato arrestato in Crimea e poi Pavlensky in Russia, hanno deciso di raccontare le loro vicende, quindi anche Maria, tornata libera, si è unita a loro.
La performance alterena momenti dedicati ai tre artisti detenuti, a dialoghi grotteschi tra due alti funzionari russi che discutono dei risvolti politici della mobilitazione internazionale per gli artisti e dell’utilità o meno di una loro scarcerazione.
Le tre vicende narrate sono accostate poi a citazioni di brani di Dostojevskij e Foucault che risultano particolarmente ben drammatizzate e coinvolgenti. Nel complesso lo spettacolo è efficace nella comunicazione del messaggio che si prefigge ed estremamente curato nei dettagli scenografici, nelle partiture fisiche e nelle caratterizzazioni dei carcerieri e dei politici.
Il regista Khalezin ha dichiarato che il punto di forza della compagnia è il lavoro sul corpo che viene portato a superare i propri limiti durante estenuanti sessioni di lavoro. Curiosamente i punti dello spettacolo che, a mio modesto parere, portano ad una caduta dell’attenzione, sono proprio quelli in cui, attraverso lunghe partiture fisiche, frutto di quel lavoro sul superamento del limite delle capacità dei corpi dei performer, vengono stilizzate le torture inflitte ai detenuti.
Al di là di qualche insistenza sulla necessità di usare politicamente i corpi degli artisti, Burning Doors chiaramente invita gli spettatori a non essere complici dei governi che calpestano i diritti umani e mette in guardia da una politica che schiaccia chi rifiuta le “sicurezze del potere”.