Da un lato il blocco delle assunzioni nella sanità pubblica dell’Emilia-Romagna dettato dalle ingenti spese per fronteggiare l’emergenza pandemica e da minori risorse assegnate dal governo ai servizi sanitari regionali. Dall’altro la spada di Damocle dell’autonomia differenziata che vede la nostra Regione protagonista insieme a Lombardia e Veneto.
Nonostante dichiarazioni e promesse e nel pieno della quarta ondata la sanità pubblica lungo la via Emilia presenta ancora problemi. Ed è per questo che tra oggi e domani sindacati e comitati si mobilitano.

Sanità pubblica, il blocco delle assunzioni che spaventa i sindacati

Ormai due settimane fa la Regione Emilia-Romagna ha inviato una nota alle Ausl del territorio per disporre almeno fino al 31 dicembre il blocco delle assunzioni, quindi anche il blocco del turnover, e di nuovi contratti flessibili. Inoltre vengono sospese anche le valorizzazioni economiche. Le eccezioni all’imposizione riguardano l’arruolamento di personale per i reparti di emergenza ed eventuali esigenze specifiche per l’emergenza Covid e la campagna vaccinale. Qualora si rendesse necessario incrementare l’organico sanitario, però, le Ausl devono ottenere preventivamente un’autorizzazione da viale Aldo Moro.

La misura è sostanzialmente dettata dai problemi del bilancio sanitario della Regione Emilia-Romagna, che in questi due anni di pandemia ha speso molte risorse. Nonostante ciò, il governo riduce i trasferimenti territoriali. Sono 2,2 miliardi di euro i fondi in meno di cui, a livello nazionale, potranno disporre le Regioni per il capitolo sanitario e ciò si traduce in centinaia di milioni in meno anche per l’Emilia-Romagna. È anche per questa ragione che il presidente Stefano Bonaccini ha chiesto a più riprese, anche in diretta televisiva, che il governo aiuti le Regioni.

Proprio oggi Fp-Cgil e Uil-Fpl daranno vita a volantinaggi davanti agli ospedali per denunciare la situazione, dicendo chiaro e tondo che non accetteranno tagli alla sanità pubblica. A nulla sembrano servite le rassicurazioni che l’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, ha cercato di fornire, ricordando che lo stop delle assunzioni è valido solo fino al 31 dicembre e che fra il 2016 e il 2020 ammontano a 23mila le assunzioni in sanità, a cui si aggiungono 5mila nella prima parte del 2021 proprio a causa della pandemia.

«Siamo di fronte ad un corto circuito assurdo – commenta ai nostri microfoni Gaetano Alessi della Fp Cgil di Bologna – perché in pratica la Regione ci sta dicendo di affrontare la nuova ondata della pandemia con meno personale, lasciando a casa quello assunto per il Covid e non pagando i lavoratori».
Tradotto in numeri reali, il blocco del turnover per un mese a Bologna significa avere a disposizione 3-400 persone in meno. A questa cifra ammontano i pensionamenti e le cessazioni e le conseguenze sono il sovraccarico del personale già provato presente in organico.

«All’ospedale Maggiore – continua Alessi – le sale operatorie lavorano 24 ore al giorno anche per recuperare gli interventi arretrati proprio a causa della pandemia». In quelle sale operatorie lavorano i giovani medici o infermieri che sono stati assunti recentemente e non rinnovare i loro contratti equivarrebbe a fermare di nuovo le operazioni.
I sindacati sono consapevoli che i problemi di bilancio della Regione sono concreti ed è giusto che viale Aldo Moro pretenda più risorse dal governo. Ma non può usare i lavoratori della sanità e la salute dei cittadini come arma di trattativa con l’esecutivo nazionale.

«Abbiamo lavoratrici e lavoratori che sono venuti qui da altre regioni durante la pandemia – osserva il sindacalista – Sono professionisti che il lavoro altrove lo trovano, ma sono venuti qui perché era il fronte più avanzato di contrasto al virus. Ora non possiamo dire loro “è stato bello, ma siccome stiamo litigando col governo in questo momento ve ne andate a casa”. Sarebbe veramente un’offesa che li lasciassimo a casa».

ASCOLTA L’INTERVISTA A GAETANO ALESSI:

Anche l’autonomia differenziata minaccia la sanità pubblica

Domani, mercoledì 15 dicembre, alle 14.30 sotto la Regione si terrà un presidio del comitato No Autonomia Differenziata dell’Emilia-Romagna. Contestualmente al presidio verranno consegnate le oltre 3mila firme raccolte in tutte le province contro l’autonomia differenziata richiesta dalla Giunta Bonaccini già nel 2018, insieme a Lombardia e Veneto.

«L’epidemia di Covid-19 ha dimostrato che le Regioni sono impossibilitate ad affrontare da sole un’emergenza così importante e solo un servizio sanitario nazionale riesce a fornire personale, vaccini, fondi e strutture per l’assistenza – osserva ai nostri microfoni Gianluigi Trianni del comitato – In più abbiamo visto come le vicende sanitarie siano state usate dai presidenti di Regione per rivendicare un’autonomia assolutamente impossibile e creare una cacofonia nell’azione di governo, producendo un indebolimento complessivo ai bisogni sanitari del Paese».

Oltre a scuola e trasporti, anche la sanità rientra nelle competenze che la Regione rivendica a sè con la richiesta di autonomia differenziata e per le quali vorrebbe poter legiferare in modo autarchico.
«Noi chiediamo che la Regione ammetta di aver sbagliato – sottolinea Trianni – e ritiri la proposta di autonomia differenziata, perché sul piano tecnico è una proposta già resa ridicola dalle vicende sanitarie, della scuola e dei trasporti».
Per i detrattori del progetto, l’autonomia differenziata, che è autonomia anche legislativa, porta l’Italia ad una situazione di frammentazione fra regioni del sud e del nord e non garantisce i servizi pubblici.

ASCOLTA L’INTERVISTA A GIANLUIGI TRIANNI: