Dove sono ora tutte quelle belle anime pronte a mobilitarsi all’istante per ogni lancio di missile americano? Eccola la domanda, insopportabile e banale, al limite dell’insulto, che più d’ogni altra, fin dai primi giorni dell’aggressione russa all’Ucraina, gli ultrà atlantisti della prima e (soprattutto) dell’ultima ora, rivolgono sarcasticamente al mondo pacifista italiano.  

Semplice la risposta: sono al solito posto, ovvero dove c’è il conflitto e al “né con né con“, preferiscono il “con le vittime”, gli aggrediti, chi scappa e muore sotto le bombe, vittima della follia della guerra e del narcisismo imperialista di chi le scatena.

E mentre a Roma c’è chi, dopo due anni di pandemia e con il paese in una pesante crisi economica e sanitaria, in barba al pensiero dei cittadini (i sondaggi parlano chiaro in merito), aumenta le spese militari al 2% del PIL passando da 25 a 38 miliardi annui, abbassando al contempo quelle per scuola e sanità dal 4 al 3,5%, c’è chi, al contrario, in Ucraina ci va per consegnare tonnellate di beni di prima necessità e medicinali e per riportare in Italia centinaia di profughi, per lo più donne e bambini, molti non accompagnati.

La carovana “Stop the War” ne è stata uno degli esempi, con 250 volontari, molti da Bologna, partiti per un’iniziativa di solidarietà internazionale, pratica e politica insieme. Molte le sigle, cattoliche e laiche, che hanno aderito.

Abbiamo intervistato Alberto Zucchero del Portico della Pace, coordinatore dell’iniziativa per il territorio di Bologna. A lui abbiamo chiesto: quale spazio ancora per una politica di pace dopo Bucha, dopo Mariupol, dopo Kramatorsk?