Il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, Roberto Calderoli, e il governo Meloni di cui fa parte sembrano fare sul serio. L’accelerazione che hanno impresso al processo per l’Autonomia Differenziata, chiesto anni fa dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, è misurabile in un disegno di legge, ma anche nell’articolo 143 della legge di Bilancio, che prevede di definire entro sei mesi i cosiddetti Lep, cioè i livelli essenziali delle prestazioni.

Dopo un sostanziale arenamento del processo durante i governi Conte e Draghi, ora la prospettiva di arrivare all’Autonomia Differenziata «già durante il 2023», ha detto Calderoli, sono più concreti. Ecco perché domani pomeriggio, 21 dicembre, a Roma si terrà un presidio di protesta nazionale del Tavolo contro l’Autonomia Differenziata, composto da decine di associazioni, sindacati e comitati che segnalano i rischi di vero e proprio disgregamento dell’assetto costituzionale del Paese.

Autonomia Differenziata, il governo Meloni accelera: la protesta in piazza

Con l’Autonomia Differenziata, Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna avocherebbero a sè la competenza esclusiva per 23 materie, tra cui sanità, istruzione, ambiente e infrastrutture. «È facile capire che, ad esempio nella sanità che è già stata generalizzata, la qualità delle cure dei cittadini e delle cittadine dipende dalla Regione in cui si vive e dalla disponibilità economica che si ha», osserva ai nostri microfoni Nora Imbimbo, che per Usb segue la questione.
Non solo. L’Autonomia Differenziata drenerebbe importanti risorse dalle casse dello Stato per trattenerle in quei territori. «Basti pensare che per l’Irpef le tre Regioni drenano il 45% del gettito nazionale», prosegue la sindacalista.

In altre parole, l’Autonomia Differenziata farebbe venir meno il processo redistributivo e solidale in capo allo Stato e a pagarne di più sarebbero le regioni del sud, dove già i servizi per la cittadinanza sono più carenti.
Anche in termini di diritti del lavoro le cose potrebbero peggiorare, portando ad esempio ad un superamento di fatto dei contratti nazionali, in favore di una contrattazione regionale che creerebbe differenze sul territorio nazionale.

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Anche in Emilia-Romagna, unica Regione amministrata dal centrosinistra ad aver finora fatto richiesta di Autonomia Differenziata, si è formato un comitato contrario, di cui fa parte Gianluigi Trianni di Medicina Democratica.
«Oggi la sanità pubblica in tutte le Regione è attanagliata da un drammatico sottofinanziamento – osserva Trianni – Tant’è che le Regioni hanno chiesto al governo 4 miliardi in più rispetto all’anno scorso per ripagarsi delle spese sostenute per affrontare il Covid e il governo ha messo solo a disposizione 2 miliardi. Ora, nessuna Regione, da sola, è in grado di affrontare questa crisi della sanità pubblica».

Il riferimento è anche al braccio di ferro ingaggiato dall’Emilia-Romagna con diversi governi per ottenere il risarcimento delle spese Covid, che ha visto viale Aldo Moro ricevere sempre un rifiuto. Ciò ha prodotto un buco impressionante nel bilancio sanitario regionale, pari a diverse centinaia di milioni di euro, che lo stesso presidente Stefano Bonaccini ha ammesso essere «complicato».
«Adesso hanno cominciato flebilmente a piangere – sottolinea Trianni – ma hanno enormi responsabilità degli ultimi vent’anni e devono assolutamente cambiare orientamento e politicamente è possibile tornare indietro, ritirando la domanda di Autonomia Differenziata avanzata nel 2018».

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