Ospite del Festival di Internazionale a Ferrara, Francesco Forgione, scrittore ed ex presidente della Commissione parlamentare antimafia, ha spiegato come cambiano le organizzazioni criminali dal sud al nord, sostenute dal mondo politico e imprenditoriale.
Festival Internazionale a Ferrara: si parla di Mafie
Il libro Atlante delle Mafie, composto di tre volumi, è un ottimo strumento per chi vuole farsi un’idea chiara e complessiva di quello che è il fenomeno mafioso nel nostro Paese e non solo. È stato presentato all’interno del Festival di Internazionale a Ferrara, in un dibattito che ha coinvolto – oltre al curatore Francesco Forgione, ex presidente della Commissione parlamentare antimafia – lo storico britannico John Dickie, Enrico Fontana di Libera, e il giornalista Attilio Bolzoni.
Le mafie rappresentano oggi una realtà profondamente insediata nell’economia, e devono la loro esistenza a un controllo capillare del territorio, attraverso una continua estensione della loro egemonia culturale, politica e sociale. Bisogna partire da qui per capire come le mafie legittimino la loro espansione in nuovi territori. Sebbene in questo caso si senta spesso parlare di “infiltrazione” della criminalità al Nord, la parola è impropria, se non addirittura deviante, come ha ben spiegato Forgione: “Oggi siamo di fronte a un vero processo di colonizzazione di intere aree del nord del Paese. Siamo in una fase di radicamento delle organizzazioni mafiose, processo accompagnato dal mondo economico e imprenditoriale, dalla politica e dalle istituzioni”.
Questo processo è stato accompagnato, e spesso facilitato, da un atteggiamento auto-assolutorio delle classi politiche, per negare l’esistenza del fenomeno mafioso nelle regioni più ricche del nord del Paese. Paradigmatico il caso della Lombardia, dove la presenza della ‘ndrangheta è un dato di fatto, nonostante il negazionismo di numerosi soggetti politici. “È grave aver costruito la fabbrica della paura sui migranti e gli stranieri, mentre parallelamente la ‘ndrangheta diventava un pezzo del mondo economico e uno dei soggetti politici di quella regione – afferma Forgione – Quando le mafie si radicano alterano la natura del modello sociale, il mercato e il sistema delle imprese”.
Identificare la mafia con il Sud, attraverso una visione lombrosiana che sovrappone il fenomeno criminale a una situazione di arretratezza economica e sociale, significa alimentare quell’odio e quel razzismo che nei fatti impediscono di cogliere la vera natura delle mafie: un fenomeno che trae fondamento da un sistema di corruzione che rappresenta il vero punto di contatto tra mafia e politica, e che ruota attorno a interessi finanziari e imprenditoriali. “Si deve ragionare su come è mutata la natura dell’Italia – sottolinea ancora lo scrittore – dall’alto e dal basso, nella dimensione della società civile e della classe dirigente sono caduti tutti gli anticorpi etici e morali che hanno consentito al potere politico di accompagnare questo processo di espansione delle mafie al Nord”.
Per queste ragioni la lotta alla mafia deve configurarsi in primo luogo come una battaglia culturale da vincere fuori dalle sentenze e dalle aule dei Tribunali, e in questo risulta fondamentale il ruolo della società civile e dell’inchiesta sociale: “Bisogna tornare al valore dell’inchiesta, individuare le mafie laddove non si vedono, dove non sparano. Dietro l’assenza di allarme sociale c’è l’espansione silenziosa della mafia – continua Forgione, che in conclusione non risparmia una stoccata al governo – Rimane purtroppo una politica che ancora non vuole ripulire se stessa e non vuole fare piena luce su pagine buie della propria storia, e non ha come priorità dell’agenda la lotta alla corruzione e alla mafia”.