Era atteso il Don Juan di Aterballetto al Teatro Comunale di Bologna con le coreografie di Johan Inger in scena fino al 2 gennaio per festeggiare il capodanno e l’anno nuovo a teatro, lo spettacolo è stato sostituito da un trittico di coreografie, Preludio, O, Bliss, della stessa compagnia, a causa delle quarantene a cui sono stati sottoposti alcunə danzatorə.

L’Ente lirico sinfonico bolognese ha aperto le porte alla danza da alcuni anni con una breve stagione di spettacoli di pregio, per il 2022 si attendono 4 titoli in cartellone, intanto saluta il 2021 ospitando la più internazionale delle compagnie di balletto italiana composta da solisti capaci di danzare in differenti stili guadagnandosi riconoscimenti grazie anche alla qualità dei direttori artistici che li hanno diretti in passato, e dell’attuale direttrice artistica Cristina Bozzolini, e alle alte competenze manageriali del Direttore generale e della programmazione della Fondazione Nazionale della Danza, Aterballetto, Gigi Cristoforetti presente alla prima in sala.

E’ un peccato che quasi esclusivamente nei periodi delle festività natalizie le città italiane si riempiano di spettacoli di balletto, l’interesse del pubblico per questo tipo di spettacolo è alto, sia nelle sale, che in televisione, come testimoniano gli altissimi ascolti delle apparizioni di Bolle, e se l’offerta è di qualità, è disposto anche a spendere cifre ragguardevoli per fruirne. Nonostante questo, anche a Bologna, il cartellone cittadino di danza è interessante, ma con appuntamenti sporadici durante l’anno.

Lo spettacolo in scena in questi giorni al TCB è assolutamente da non perdere, anche con il cambio di titolo previsto, di grande qualità e interesse. La compagnia presenta tre creazioni molto differenti tra loro, che creano atmosfere cariche di emozioni attraverso un sapiente dosaggio degli elementi della messa in scena: movimento, musica, suoni del corpo e delle voci dei/lle performer luci, costumi, elementi scenografici (che spesso sono un tutt’uno con i punti luce).

Preludio” apre la serata. La coreografia è di Diego Tortelli su brani dell’australiano Nick Cave, il progetto luci è di Carlo Cerri. In scena cinque performer con costumi monocromi, che con le luci apparivano rosa, a coprire dal collo alle caviglie, ma con avambracci guantati di nero. Alcune parti musicali introduttive dei brani sono parlate, la voce profonda di Nick Cave aiuta ad entrare nello spirito della performance. Prevale, nella parte inferiore del corpo, un senso di movimento scivolato, come vite che scorrono, mentre l’enfasi è posta sulle braccia guantate che raccontano una storia insieme al canto “In to my arms“. L’amore è uno dei temi espressi in questa coreografia l’amore che spinge l’uno nelle braccia dell’altro rispettando la propria individualità “To leave you as you are/And if He felt He had to direct you/ Then direct you into my arms”. Si alternato altri temi nella narrazione danzata, la dipendenza, l’ossessione, la perdita, la ricerca della propria strada e il ritorno verso casa in un senso di grande pace data dall’avvolgente e sussurrante voce del cantante australiano fino al finale “Hallelujah“. Si alternano momenti collettivi di grande efficacia ad assoli, duetti, trii con una pulsazione data da un movimento a camminata che ritorna a leitmotive nel corso della coreografia segnandone al contempo le fasi. Preludio è di grande impatto emotivo, risuona nel petto di ciascunə spettatorə la voce calda di Nick Cave e quel gioco di luci, colori e intrecci di mani nere avvince e convince.

Dopo il primo intervallo il sipario si apre su “O”: coreografia di Philippe Kratz, musica di Mark Pritchard e The Field, progetto luci nuovamente di Carlo Cerri. Questa composizione è realizzata per due danzatorə che si presentano su fondale nero davanti a un unico elemento scenico che è anche una fonte luminosa: un ombrellino da fotografo posto a fondo palco. Questa fonte di luce diffusa sistemata all’altezza del movimento deə danzatorə, fa risaltare ogni singolo gesto amplificandolo. La coppia danza su un ritmo ossessivo, inarrestabile, al limite della monotonia, che dovrebbe creare un effetto ipnotico. Krantz insieme ai danzatorə si sono interrogati sul contatto fisico nella società contemporanea, resterà un contatto emotivo, empatico, o rischierà di diventare robotico, alienante. Se l’interrogativo è nato nel 2017 quando è stata realizzata la performance, oggi, durante una pandemia che ha cancellato il contatto fisico anche tra consanguinei per paura di danneggiare bambinə o anzianə fragili, tuttə ci domandiamo se riusciremo mai a tornare ad un contatto fisico emotivo o se d’ora in avanti avremo questo timore di toccare l’altrə, l’estraneə rendendo ancora più complicati poi anche i rapporti più intimi. Al di là di questo, andiamo incontro ad una società fatta sempre più di macchine, di robot che si muovono imitando il movimento umano, chi lavora con il movimento corporeo legittimamente esplora anche il movimento robotico, meccanico. Concettualmente e visivamente la performance è interessante, dopo i primi minuti però si tende a perdere il coinvolgimento e la musica infine sfinisce per la ripetitività.

Eccezionale è il finale di spettacolo con “Bliss“, le coreografie sono di Johan Inger, lo stesso creatore del Don Juan che non è potuto andare in scena, la musica che ha ispirato e fondato la coreografia è il Köln Concer di Keith Jarrett.

Il coreografo nel 2016, anno di realizzazione della performance, vincitrice nello stesso anno del Premio Danza&Danza “Best Italian Production”, ha lavorato insieme ai danzatori, come sfidandosi nell’adattare quella musica alla visione contemporanea, in una scoperta continua e reciproca delle loro reazioni alle diverse sezioni di quel magnifico brano.

La coreografia è danzata in abiti quotidiani, metropolitani, potremmo dire. L’ambientazione sembra quella di una piazza cittadina, in notturna con le luci della città dietro, dei palazzi di una grande città piena di vita. Questo effetto è dato attraverso il progetto di lighting design di Peter Lundin che ha sistemato fari singoli sul fondo, su tre lati, a diverse altezze, creando punti luce e insieme una scenografia urbana. In un momento di crescendo musicale corrispondente, sul palco, alla presenza di un “tuttə” rispetto alla precedente alternanza di soli, duetti, e via via, per accumulo, fino a quel culmine di pieno, si spengono i fari sul fondo e si accende un elemento luminoso in alto a destra, una specie di nuvola di luce a led bianca che cade a pioggia concentrata sopra il gruppo di danzatorə a creare un effetto di sottolineatura di quell’attimo corale.

All’inizio della coreografia due danzatori sembrano dialogare come amici nel loro danzare, si aggiungono personaggi, un terzo, una quarta, una quinta personaggia e quindi un piccolo passo a due tra due danzatrici, segue un assolo che si fa poi dialogo con un’altra personaggia sopraggiunta. Il duetto si fa quintetto in un intensificarsi di relazioni e fasi di gioco con la musica che è mutevole e crea mille atmosfere differenti fino al già richiamato momento corale di apice. Da quel momento la musica, che prima si era intensificata, si fa più dolce, delicata e muta il gesto, diventa più minimale. Il gruppo si disperde e riparte il gioco degli incontri come a notte tarda in una grande città, brevi e fugaci incontri, ci si lascia, duetti e giochi a tre. Una coppia si forma, poi un partner lascia la mano delə altrə se ne va con unə nuovə arrivatə lasciando delusə la prima persona e così via, in una catena di incontri e delusioni per gli abbandoni repentini. Coppie si incontrano e si disfano in una sera romantica per qualcunə, solitaria per altrə.

Cambia l’illuminazione, sembra giorno, luce diffusa bianca, la piazza si riempie, tutti corrono, di qua o di là, si riesce anche ad andare a volte all’unisono, a guardare o a lavorare, danzare insieme, essere in sintonia, in una città che corre, e c’è sempre qualche personaggio che corre via, cambia direzione esce ed entra nel gruppo, nella folla, nel turbine. Se si era arrivati a un tuttə per accumulo tenendo di fondo una pulsazione di corsa, di passo veloce, che talora si concretizzava in spostamenti nello spazio e altre volte in corsa sul posto, alla fine, per sottrazione,i danzatorə escono, apparentemente casualmente, fino a che ne resta uno solo sul palco che sembra sorprendersi d’esser rimasto l’unico, davanti al pubblico.

Un lavoro davvero intrigante, divertente, emozionante, su una musica che sconvolge e dà modo alla compagnia di raccontare storie, di giocare con stili differenti di danza e di dare vita a visioni poetiche che non offrono soluzioni al caos delle relazioni contemporanee, ma spunti per vivere con gioia l’incontro e lo scambio che la vita della metropoli offre a ritmo di jazz.

repliche 31 dicembre ore 18 e 2 gennaio ore 16.