Dopo le polemiche per la conferenza tenuta da Matteo Renzi alla corte del principe Mohammad Bin Salman, il senatore di Italia Viva è tornato ieri a difendere il regime saudita sulle pagine del Corriere della Sera. Oltre a rivendicare la possibilità di fare conferenze retribuite in Paesi esteri, dal momento che «pago le tasse in Italia», l’ex premier si è lanciato in una vera e propria apologia dell’Arabia Saudita.
«Soltanto chi non conosce la politica estera ignora il fatto che stiamo parlando di uno dei nostri alleati più importanti – ha detto Renzi – Il regime saudita è un baluardo contro l’estremismo islamico, la forza politica ed economica più importante dell’area. Il programma Vision2030 è la più importante iniziativa di riforma mai tentata nella storia della regione. Se vogliamo parlare di politica estera diciamolo: è grazie a Riyadh che il mondo islamico non è dominato dagli estremismi».

Arabia Saudita, il curriculum del regime difeso da Renzi

«L’Arabia Saudita è uno dei Paesi dove è costante la violazione dei diritti umani – osserva ai nostri microfoni Giuseppe Acconcia, giornalista e ricercatore in Medio Oriente all’Università di Padova – Non è permessa alcuna forma di opposizione politica, non è permessa alcuna manifestazione del dissenso e sono costantemente violati i diritti dei lavoratori, attraverso l’utilizzo di manodopera straniera, senza alcun diritto e schiavizzata».
L’Arabia Saudita è inoltre uno dei 56 Paesi nel mondo dove resta in vigore la pena di morte.

In tema di diritti umani, sono due i principali fatti per cui si è parlato di Arabia Saudita negli ultimi anni. Da un lato il caso Khashoggi, dall’altro la guerra in Yemen.
Il primo risale al 2018, quando il giornalista del Washington Post Jamal Kashoggi, critico col regime saudita, entrò nel consolato del suo Paese ad Istanbul e non vi uscì vivo. Secondo la polizia turca, Khashoggi è stato torturato e ucciso all’interno del consolato da una squadra di 15 membri dei servizi segreti, giunta dall’Arabia Saudita per l’operazione. Il suo cadavere è stato inoltre fatto a pezzi e spostato dal consolato all’interno di cinque valigie.

La guerra in Yemen, invece, va avanti da cinque anni. Tutto è iniziato come una guerra civile, ma l’Arabia Saudita ha presto giocato un ruolo. In particolare, il piccolo Paese è sotto assedio da parte di nove paesi arabi sunniti, guidati dai sauditi e sostenuti dagli Stati Uniti, nei confronti dei ribelli sciiti, vicini all’Iran, che dal 2015 controllano la capitale San’a.
A dicembre 2020 il bilancio delle vittime ammontava a 100mila, di cui 12mila civili, mentre erano 24 milioni le persone che necessitavano di assistenza alimentare e sanitaria. Gli attacchi aerei, portati avanti su vasta scala dalla coalizione capeggiata da Arabia Saudita e dagli Emirati Arabi Uniti, sono responsabili della maggior parte delle vittime civili, degli sfollati e del conseguente propagare di fame e malattie.

«Questa è una questione centrale – osserva Acconcia – perché l’Onu e si spera presto anche l’Ue vorranno fermare la fornitura di armi non solo all’Arabia Saudita ma anche agli Emirati Arabi Uniti, perché missili e bombe saudite sono state utilizzate in Yemen». In questo quadro va letta la sospensione delle forniture di armi decisa dal governo italiano la settimana scorsa.
«Non è solo l’Arabia Saudita a fare la guerra in Yemen – sottolinea il ricercatore – Anche gli aiuti militari che l’Italia invia all’Egitto, come le due fregate Fremm, dovrebbero rientrare in questo bando, perché anche il Cairo è impegnato nella stessa guerra per procura in Yemen».

I legami pericolosi dei sauditi

Proprio tra l’Arabia Saudita e l’Egitto intercorrono relazioni pericolose. «L’Arabia Saudita ha giocato un vero e proprio ruolo da attore controrivoluzionario, come nel 2011 in piazza Tahir – spiega Acconcia – Mentre nel 2013 al Cairo sono arrivati miliardi sauditi che hanno finanziato il colpo di Stato di Al Sisi».
Come se ciò non bastasse, i businessmen sauditi sono accusati di essere i finanziatori di gruppi terroristici, come il sedicente Stato Islamico.

La tempistica delle dichiarazioni di Renzi, nella ricostruzione del ricercatore, è piuttosto inquietante. Il leader di Italia Viva si è lasciato andare all’apologia dei sauditi nel momento in cui negli Stati Uniti Joe Biden rimuoveva il “muslim ban” di Trump, ma soprattutto bloccava le forniture di armi all’Arabia Saudita.
«Le dichiarazioni di Renzi arrivano nel momento in cui si sta rivedendo la politica estera, non solo italiana ma anche degli Stati Uniti nei confronti di un Paese che non solo viola costantemente i diritti umani, non solo è tra i finanziatori del terrorismo internazionale, ma anche tra i Paesi più attivi nella guerra in Yemen che è una catastrofe umanitaria».

L’atteggiamento di Renzi nei confronti degli autocrati non riguarda solo l’Arabia Saudita, ma anche gli Emirati Uniti, il Kazakistan, la Cina e l’Egitto. «Secondo il reportage del Domani, Renzi riceve circa 80mila dollari all’anno per il suo impegno nel board del think tank “Future Investment Initiative“, quindi pagato dal regime saudita – sottolinea Acconcia – Quindi si capisce bene che quando c’è da criticarlo non lo voglia fare. La stessa cosa è successa probabilmente nel 2016 quando è stato torturato e ucciso Giulio Regeni. Sappiamo che l’Italia non ha reagito subito».
Acconcia fa riferimento agli atti della Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Regeni in cui lo stesso Renzi affermò di aver saputo la notizia sei giorni dopo, smentito però dalla Farnesina.
«L’atteggiamento di Matteo Renzi è un atteggiamento condiscendente nei confronti dei dittatori più sanguinari della regione e ciò non ha mai giovato alla politica estera italiana», conclude Acconcia.

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