L’aggressione turca al Rojava, la regione curda nel nord della Siria, ha già provocato almeno 18 morti. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il suo governo hanno ignorato tutti gli appelli internazionali e anche le minacce di conseguenze sull’economia di Donald Trump e ieri ha sferrato l’annunciato attacco. Sono 181, secondo l’esercito turco, gli obiettivi colpiti, in larga parte postazioni curde, ma le bombe non hanno risparmiato nemmeno la popolazione civile, tra cui si annovera una decina di morti.

L’indignazione per l’operazione militare turca si è registrata in molte parti del mondo e già oggi sono previste le prime mobilitazioni. A Bologna, alle 17.00, si terrà un presidio in piazza Verdi, intitolato “Rise up for Rojava”. A promuoverlo sono i movimenti cittadini – Làbas, Ya Basta, Tpo, Laboratorio Crash, Vag61, Cua, Non una di meno, Rete Jin e Staffetta – ed analoghe iniziative si terranno in diverse città italiane, da Torino a Brescia, da Modena a Treviso.
Sotto le Due Torri una seconda mobilitazione si terrà sabato 12 ottobre, alle 15.00 in piazza Nettuno.

Ad intervenire, chiedendo di sostenere la rivoluzione del Rojava, sono stati anche i genitori di Lorenzo “Orso” Orsetti, il ragazzo italiano arruolatosi con le brigate curde e ucciso dall’Isis in Siria il 18 marzo scorso.

La lettera dei parenti di Lorenzo “Orso” Orsetti

Intanto la Rete Italiana per il Disarmo chiede formalmente al Ministro degli Esteri Luigi Di Maio che vengano sospese con effetto immediato tutte le forniture di armamenti e sistemi militari verso il Governo di Ankara, come prevede la legge 185 del 1990 che impedisce di inviare armi a Paesi in stato di conflitto armato. La Turchia è da molti anni uno dei maggiori clienti dell’industria bellica italiana e che le forze armate turche dispongono di diversi elicotteri T129 di fatto una licenza di coproduzione degli elicotteri italiani di AW129 Mangusta di Augusta Westland.

Negli ultimi quattro anni l’Italia ha autorizzato forniture militari per 890 milioni di euro e consegnato materiale di armamento per 463 milioni di euro”, sottolinea il portavoce della Rete, Francesco Vignarca. In particolare nel 2018 sono state concesse 70 licenze di esportazione definitiva per un controvalore di oltre 360 milioni di euro. Tra i materiali autorizzati: armi o sistemi d’arma di calibro superiore ai 19.7mm, munizioni, bombe, siluri, arazzi, missili e accessori oltre ad apparecchiature per la direzione del tiro, aeromobili e software. È quindi giusto ipotizzare che parte di quelle forniture vengano utilizzate nell’aggressione turca al Rojava.

A nostri microfoni Giorgio Beretta della Rete Disarmo fa sapere che la Finlandia ha già deciso di sospendere la fornitura di armi alla Turchia. Una scelta che dunque è possibile e che lo stesso Parlamento italiano potrebbe e dovrebbe fare.
In questi casi, però, c’è sempre lo spettro del conflitto di interessi che aleggia in Europa. La Turchia è uno dei mercati di esportazione di armi più importanti per l’Italia e gioca un ruolo importante per l’Ue per quanto riguarda il contenimento dei flussi migratori. In questo modo, quindi, si spiega la timidezza delle prese di posizioni registrate finora.
“Eppure le milizie curde fanno parte della coalizione internazionale che ha combattuto Isis – ribadisce Beretta – Sono state fornite loro armi, anche se di seconda mano, e la stessa Italia ha fornito formazione militare“. Il miglior provvedimento che il nostro Paese potrebbe adottare in via preliminare, dunque, è sospendere l’esportazione di armi.

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