Un viaggio a ritroso all’origine dell’asfalto, un materiale ormai comune e propedeutico ai nostri spostamenti, ma che ha accelerato l’estrattivismo e lo sfruttamento fordista, modificando vite e abitudini di migliaia di persone. È l’idea alla base di “Quasi Asfalto”, un progetto di documentario che ha lanciato una campagna di crowdfunding.

Quasi Asfalto nasce con l’intento di mettere a nudo quel che si cela alle spalle del nostro quotidiano, di uno degli elementi più essenziali e certamente dati per scontati del nostro mondo occidentale. L’asfalto infatti è elemento preponderante delle nostre strade, ogni giorno lo percorriamo ma, nonostante questo, non ci chiediamo mai da dove provenga, grazie a chi possiamo comodamente procedere con i nostri mezzi su un manto liscio ed uniforme.

Lefteris, un ragazzo che ho conosciuto l’ultima volta che mi sono recato ad Atene, assieme ad un gruppo trasversale di giovani ricercatori, ha cercato di investigare il tema, andare fino in fondo alla questione. Intervistato dai nostri microfoni, ci ha raccontato come si è trovato ad indagare questo tema: “Quasi asfalto è un’idea che mi è venuta mentre vivevo in Svizzera – ci spiega – là mi resi conto che c’era un largo uso di questo minerale, sia nei marciapiedi, sia nelle strade, c’è tutta un’estetica attraverso l’uso di un materiale su larga scala che è l’asfalto. E mi sono domandato da dove viene questo materiale e allora ho scoperto che esistono in Svizzera le miniere di asfalto nella Val-de-Travers al lato del massiccio Jura. Li la mia mente è andata avanti abbastanza e ho pensato che questo materiale ha un significato che in greco può essere tradotto con ‘senza errore’ o ‘assicuro, trattengo’”.

È proprio l’apparente “assenza di errore” insita nell’asfalto che ha poi portato Lefteris a chiedersi cosa avesse comportato l’introduzione di questo materiale nella nostra quotidianità, l’apertura di svariate miniere, proprio a partire dalla Svizzera: “mi sono trovato nelle miniere svizzere tra i monti del massiccio dello Jura, le prime da dove in sostanza si è iniziato ad usare questo minerale per costruire strade, intorno al 1850 – spiega – dove per la prima volta gli abitanti dei monti si trovavano a dover vivere sottoposti ad un ritmo di lavoro meccanizzato. Prima erano pastori, agricoltori e vivevano secondo il loro proprio ritmo. Da un momento all’altro iniziarono ad esserci le prime concessioni per l’estrazione mineraria, che inizialmente erano dell’Inghilterra e da cui si generarono posti di lavoro, crescendo sempre più. Assieme a queste si svilupparono orari di lavoro e regole di funzionamento”.

Assieme all’estrazione mineraria dunque, si produssero nuovi ritmi, un nuovo modo di vivere che stravolse la secolare vita contadina e agreste che conduceva chi viveva tra i monti della Svizzera. A tutto questo solitamente noi associamo la modernità; nello stesso Marx, l’industrializzazione era sinonimo di civilizzazione ed emancipazione. Nel documentario tuttavia si cerca di mettere in luce come questa sia invece una visione unilaterale ed eurocentrica: “Quando formi un linguaggio, un modo di pensare – ed in questo caso il linguaggio sono le pratiche ed i costumi che sono stati imposti dall’industrializzazione – e non permetti, sottraendo ogni altro modo di pensare, ad ogni altra energia di esistere, e provi a produrre questo liscio uniforme – come appunto quello di una strada asfaltata – che in sostanza produce linee diritte e può portarti più vicino agli scopi che ti sei preposto, in sostanza non permetti all’errore – lo sfalma -, ovvero ciò che è differente, di uscire in superficie. Il modo però come si sviluppano le cose, persino in biologia, è attraverso errori. Quando c’è un errore è perché c’è una asimmetria: questa è quella attraverso cui persino un albero si sviluppa. Spesso un ramo non può svilupparsi in linea dritta, ha bisogno di una piccola asimmetria, che svilupperà un altro modo di pensare, di esprimersi. Quando tu stabilisci un solo modo di pensare. Usando un solo materiale sviluppando un commercio ed imponendolo in spazi che non ti riguardano direttamente sostanzialmente sviluppi una sola lingua che serve solo i tuoi interessi” spiega ai nostri microfoni Lefteris.

Così, per indagare luoghi dove questo “errore” è ancora presente, dove ancora non si è prodotto quel forte cambiamento antropologico legato all’occidentalizzazione del modo di vivere, come è invece avvenuto poi in Svizzera, dove le miniere sono ormai chiuse da anni. Questo luogo è un Paese vicino alla Grecia e ricco di questo minerale: “esiste un altro posto che ho scoperto, ovvero le miniere nel sud dell’Albania, le ultime miniere d’esportazione in funziona di asfalto minerale -forma assai più pregiata e resistente del suo parente prodotto a partire dal petrolio – che non hanno mai smesso di funzionare dal diciannovesimo secolo” ci spiega l’intervistato. Si sono poi recati nel paese dei minatori, dove vita, morte e miracoli degli abitanti è indissolubilmente legata alle vicine miniere.

“Questo è per come è nata l’idea, per quel che riguarda il suo sviluppo ci ritroveremo a giugno per 25 giorni in Albania” ci spiega Lefteris, invitando chiunque volesse a contribuire per il finanziamento del documentario tramite crowdfunding: “Il nostro orientamento in questo documentario si regge sulle nostre possibilità e sul lavoro comune – racconta – Vogliamo far trasparire questo mondo celato e sconosciuto per far emergere la sua valenza politica. Solo dedicando tempo con i protagonisti ed i modi in cui vivono possiamo sviluppare qualcosa che rivela le condizioni sotto le quali si sviluppa e prende forma lo stesso documentario. Siamo un gruppo di antropologi e artisti che provano, attraverso il lavoro collettivo, di trasmettere qualcosa che non è la creazione di un’opera d’arte che andranno nelle sale per impressionare con immagini forti, per poi tornare a casa e continuare la nostra vita; proviamo piuttosto a produrre uno spazio dove può collaborare una grande squadra di persone, chiunque ha partecipato nella sua creazione. È uno sforzo che facciamo e per questo abbiamo scelto di non andare in studi di produzione privati e di autoprodurci facendo affidamento sulle persone che parteciperanno. Per questo abbiamo scelto il crowdfunding come un modo per coprire economicamente le necessità che abbiamo dal momento che il cinema, volenti o nolenti, essendo girato in più Paesi, ha alcune spese da sostenere”.

Per sostenere il progetto potete unirvi al crowdfunding seguendo questo link.

Elias Deliolanes

ASCOLTA L’INTERVISTA A LEFTERIS: