E’ passata da Bologna, al Teatro delle Moline, la fortunata tournée dello spettacolo scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi “L’estinzione della razza umana” concedendo al pubblico un’occasione preziosa per ridere gustosamente e al contempo riflettere, sui temi più cruciali del nostro presente quali la diffusione di virus letali a livello planetario, il calo demografico nella vecchia europa a contraltare di una invadenza dei mammiferi umani sul pianeta rispetto alla natura con conseguenze nefaste sugli ambienti naturali che sul lungo periodo possono portare all’estinzione anche della razza umana.

Il pubblico che va oggi a teatro parte da un’esperienza comune, per quanto vissuta da ciascuno in maniera differente, della recente pandemia che ha confinato tutta la popolazione in casa per alcuni periodi, ha creato paure e disagi, ha lasciato molti senza lavoro, ha alimentato il commercio on line, ha fatto scaturire o ha acuito ansie, disagio psicologico, in alcuni casi ha aperto spazi per la creatività, per la scrittura di libri o la nascita di altri progetti culturali. La pandemia ha anche incentivato la chiacchiera sui social e talk show, il dibattito infinito sulle misure da adottare, sull’opportunità delle misure restrittive alle libertà personali, sull’efficacia dei vaccini e soprattutto sulla veridicità delle notizie diffuse dai media in mancanza di immagini dei cadaveri e quindi ha permesso a tanti di gridare al complotto pensando che non ci fosse nulla di vero in quello che ci veniva detto, che i numeri delle vittime del virus non fossero reali e che le notizie allarmanti fossero solo un modo per controllare la cittadinanza limitando tutte le libertà e quindi l’esercizio dei diritti.

Emanuele Aldrovandi ha utilizzato tutti i temi di dibattito attivati dalla pandemia, ha collegato sapientemente il discorso sui virus letali al cambiamento climatico, ai problemi demografici a livello globale scrivendo un testo in cui, dalla discussione di alcuni condomini nell’androne di un palazzo, si potesse arrivare a ragionare su tutti i temi della contemporaneità.

I personaggi della pièce sono nella situazione della camera chiusa, non possono uscire dal palazzo per la quarantena, la discussione tra loro potrebbe proseguire all’infinito per tutto il periodo di costrizione in quello spazio che somiglia a una grande gabbia- voliera con finestre solo rivolte verso l’interno e non alll’esterno intrappolando quanti vi sono richiusi. Dall’esterno arrivano solo notizie dai media e pacchi consegnati a domicilio da un rider. Ogni personaggio è portatore di un’istanza differente: l’uomo del marketing vive tutto in con l’ottica dell’economia di mercato che deve continuare a girare anche a costo di far morire tutti gli operai delle fabbriche pur di dare una scossa all’economia e sostanzialmente se ne frega di quello che succede dal momento che probabilmente è tutta un’invenzione per il tornaconto di alcuni, tanto che preferisce andare a correre piuttosto che mettersi sulle spalle i mali del mondo. C’è l’uomo che vive su saldi principi democratici e che difende le regole, la legalità a spada tratta e cerca di impedire al vicino di uscire a correre violando le norme restrittive imposte e che finisce per apparire fascista agli occhi dell’uomo del marketing perchè limita la sua libertà in nome di una presunta difesa degli anziani fragili e della collettività che invece l’interlocutore non si sente di ledere con la sua corsetta solitaria. C’è poi lo specializzando in medicina che torna sfinito da un turno nei reparti in cui vede decine di esseri umani trasformarsi in tacchini senza poter aiutarli e raccomanda ai vicini di continuare a stare a casa perchè il pericolo è reale. Poi ci sono due donne: l’una neo mamma, ostetrica, credente portatrice delle ragioni della fede, convinta sostenitrice del miracolo della nascita e della naturalità del partorire e dell’allevare figli in qualunque condizione ambientale e sociale essi si trovino poi a vivere, perchè la vita è più forte delle difficoltà che si possono incontrare. L’altra donna è ambientalista, oppressa dall’incapacità di agire, di influire con le proprie battaglie sul destino del mondo che sembra votato all’autodistruzione per lo sfruttamento delle risorse naturali, lo sterminio di specie animali e vegetali, ma soprattutto per la sovrappopolazione che spinge l’umanità a invadere sempre più gli spazi della natura distruggendo gli equilibri naturali e costringendo masse di individui a vivere nell’estrema povertà senza strumenti per limitare le nascite. Mettere al mondo figli in questa situazione, dal suo punto di vista, è egoistico e avvicina sempre di più all’estizione degli umani per l’incancrenirsi della situazione: più pololazione significa maggiore sfruttamento delle risorse del pianeta, più inquinamento, più distruzione.

I temi del dibattito svoltosi durante e dopo la pandemia ci sono tutti. Ciascun componente del pubblico potrà trovare nelle argomentazioni di questo o quel personaggio, per quanto iperboliche, portate all’estremo, opinioni che condivide e che ha a propria volta sostenuto in qualche privata conversazione con amici o con conoscenti sui social.

Il testo dello spettacolo è geniale perchè ha elementi del teatro dell’assurdo, può infatti ricordare a tratti testi di Ionesco come il suo memorabile “Che formidabile bordello” in cui i condomini di un’altro condominio sostenevano le loro iperboliche opinioni su pericoli imminenti, sulla sovrappopolazione, pericoli di dittature e sulla libertà individuale, ma è anche un testo che trae origine dall’attualità sociale e politica, da fatti reali, da discussioni reali di cui tutti e tutte hanno esperienza e memoria in cui l’elemento iperbolico della trasformazione degli umani in tacchini per il virus, non sposta l’attenzione dalla indiscutibile realtà di tutte le problematiche poste sul piatto.

Su tutti i giornalli campeggiano oggi discussioni sulla presunta “sostutuzione etnica” da parte dei figli degli immigrati per la mancanza di nascite da parte di donne “autoctone”. Si invitano le donne a fare figli perchè il sistema paese funzioni, ma non si tiene conto, nel numero dei nuovi italiani nati, proprio di quei bambini e bambine figli di stranieri che tuttavia pagano le tasse in italia e sostengono le pensioni degli anziani. Nell’allarme del calo demografico non si conteggia la sovrappopolazione a livello globale, non si tiene conto dell’estrema povertà in cui versano piccoli e piccole all’altro capo del mondo per i quali nulla si fa. Tanti, come la giovane neo mamma della commedia, celebrano la gioia e la bellezza delle nascite, ma non si supportano le madri con adeguati servizi. Epocale è poi il tema dell’eccessivo sfruttamento di suolo, delle risorse naturali del pianeta, dello sfruttamento dei lavoratori che estraggono le materie che servono a far funzionare la nostra tecncologia, come anche è d’attualità il tema dell’esigenza di un ritorno alla natura, dell’allontanamento dalla frenesia delle grandi città per ritmi più lenti, da cuii il desiderio del giovane padre del testo teatrale, di aprire un agriturismo in campagna allontanandosi dalla grande Milano.

Lo scontro verbale tra i condomini portatori delle diverse istanze è sempre più acceso, ciascuno mette a nudo le proprie paure e frustrazioni, si toglie la maschera di cortesia del buon vicinato per mostare la faccia reale, feroce, la propria rabbia repressa sostenendo con sempre maggior forza le proprie convinzioni, estremizzandole.

“L’estinzione della razza umana” è un testo teatrale destinato a non essere accantonato alla fine della stagione teatrale, ma a durare nel tempo, a coinvolgere migliaia e migliaia di spettatori, a essere ripreso da svariate compagnie negli anni a venire perchè i temi di cui si fa portatore sono temi centrali della nostra epoca, che non si esauriranno certo in un tempo breve. Generazioni di spettatori potranno continuare a dibattere tutte le questioni aperte a cominciare dalla scelta delle donne di essere o non essere madri o dalla possibilità di verificare la veridicità delle informazioni che ci arrivano dai diversi media.

L’obiettivo del testo, dichiarato dall’autore è sicuramente raggiunto, ovvero quello di mettere in scena «una sorta di esorcismo – catartico e liberatorio – per aiutarci a metabolizzare il nostro presente con ironia, lucidità e un pizzico di grottesco surrealismo». Ogni personaggio mette in questione le parole e i concetti che gli altri personaggi utilizzano per descrivere il mondo e che Aldrovandi definisce, usando l’espressione scelta da Richard Rorty, “vocabolario decisivo” cercando poi, secondo quanto egli afferma nelle note di regia, piuttosto che di decostruire le opinioni, di iper estenderle “fino al punto di rottura, o al paradosso”.

E a chiudere le discussioni, in modo per l’appunto paradossale, ecco ritornare sul finale il rider che per tutto il tempo della durata delle discussioni tra i condomini ha consegnato pacchi dentro il palazzo, tra l’altro senza indossare la mascherina e proclamando la necessità di continuare a lavorare, nonostante il pericolo, trasformato ora in un tacchino. L’apparizione dell’uomo trasformato di fatto congela l’azione con l’evidenza dell’esisetnza del virus e della probabilità concreta dell’estinzione dellla razza umana.

Lo spettacolo è estremamente divertente, ironico, spassoso proprio perchè aiuta il pubblico a ridere delle proprie paure, dei gesti compiuti ossessivamente durante i momenti più acuti della pandemia per disinfettare qualunque cosa onde evitare contagi, delle scarpe acquistate on line proprio quando sarebbe stato impossibile usare, consente di ridere anche delle frasi dette o scritte di cui forse ci siamo pentiti a mente lucida, di riflettere sulle estreme conseguenze di ogni nostra azione attraverso iperboli tali che non offendono nessuno pur lasciando nel corpo tracce dei pensieri balenati durante la visione e di cui ciascuno/a potrà, una volta finito lo spettacolo, fare ciò che preferisce.