Gli ultimi giorni di attività dell’Iqbal Masih sono densi di appuntamenti e dibattiti. Il 14 e 15 giugno, a partire dalle 19.30, si parlerà di “Tortura democratica e disumanizzazione – Cie, carcere, 41 bis e Opg“ con Silvia Baraldini.
Non si fanno scoraggiare i compagni dell’Iqbal Masih, il circolo Arci di via della Barca, da anni luogo di ritrovo nel quartiere, che sta vivendo una burrascosa vicenda legata all’affitto e che abbandonerà la sede a fine mese.Negli ultimi giorni di attività, infatti, si moltiplicano le iniziative all’insegna del confronto e della cultura.
Martedì 14 e mercoledì 15 giugno, a partire dalle 19.30, si parlerà di un tema scomodo e poco presente sui mass media: la detenzione. L’evento, e forse non è una coincidenza, si svolge in contemporanea con la protesta dei detenuti della Dozza, che stanno portando avanti uno sciopero della fame ad oltranza.
Ad intervenire sul tema sarà un’ospite d’eccezione: Silvia Baraldini, attivista per i diritti degli afroamericani, componente delle Pantere Nere e imprigionata ingiustamente per molti anni negli Stati Uniti. Forte della sua esperienza, la Baraldini parlerà delle “moderne” forme di detenzione e tortura, dai Cie, i Centri di Identificazione ed Espulsione dove vengono reclusi i migranti, alla sempre più esplosiva situazione nelle carceri italiane, al carcere duro del 41 bis, agli ospedali psichiatrici giudiziari, veri e propri manicomi di oggi.
In entrambe le giornate il programma prevede un buffet benefit alle 19.30. Alle 21.00 di martedì ci sarà il dibattito con la Baraldini, mentre il mercoledì, sempre alle 21.00, verrà proiettato il documentario: “Il filo rosso della resistenza” (2010) a cura delle compagne antifasciste di Padova.
Abbiamo chiesto un commento a Katia Tebaldi dell’Associazione Mai Più Schiave, che organizza gli incontri
Il carcere è uno strumento repressivo del potere, che, anche solo tramite il timore di esservici rinchiusi, inibisce le lotte contro le ingiustizie. Un esempio è quello degli attivisti di Fuoriluogo, sotto processo per aver protestato e lottato contro i Cie. Coloro che si definiscono democratici dovrebbero, oltre che indignarsi per l’esistenza di luoghi di repressione e negazione delle qualità umane come appunto i Cie, le galere, gli ospedali psichiatrici giudiziari, il 41 bis, agire attivamente e lottare perché vengano chiusi.