Nei giorni scorsi il Comune di Bologna ha comunicato la creazione di un albo degli immobili dismessi in città il cui scopo, secondo Palazzo d’Accursio, è proprio «promuoverne la rigenerazione».
La notizia non è sfuggita a D(i)ritti alla Città, la rete di associazioni e realtà che l’estate scorsa sul tema aveva raccolto le firme per una delibera di iniziativa popolare, che era stata poi ritenuta non ammissibile dalla segreteria comunale. E ora la rete sottolinea sostiene che due degli articoli dell’albo comunale sono «ispirati» alla delibera e contesta il modello di partecipazione della giunta comunale.

Immobili dismessi, l’albo del Comune e la delibera dal basso

La delibera di iniziativa popolare sugli immobili dismessi in città fu frutto di un percorso di elaborazione collettiva culminato nel giugno scorso e seguì alla discussione scatenata dagli sgomberi a Bologna e dalla mancata assegnazione dei locali di via Fioravanti a Bancarotta, che aveva vinto un regolare bando.
D(i)ritti alla Città decise di utilizzare uno strumento previsto dallo Statuto del Comune, appunto quello della delibera di iniziativa popolare, per intervenire su un tema che è stato spesso al centro del dibattito cittadino, sia per le modalità scelte dall’Amministrazione per l’assegnazione di immobili, che per qualcuno non tengono conto dei processi non gerarchici che caratterizzano alcune realtà, sia per l’immane patrimonio pubblico lasciato all’inedia o svenduto.

Su quest’ultimo punto, in realtà, il Comune è intervenuto con una misura che ha bloccato l’alienazione del patrimonio pubblico. Ora, con l’albo, il Comune intende effettuare una mappatura degli immobili dismessi e valutarne le possibilità di rigenerazione.
La creazione di un albo, però, era proprio uno dei punti contenuti nella delibera di iniziativa popolare di D(i)ritti alla Città, che ora commenta con ironia la vicenda. «Il Comune non fa assolutamente menzione alla delibera – sottolinea ai nostri microfoni Mauro Boarelli di D(i)ritti alla Città – sembra che sia un’idea sua e magari in un certo senso lo è, ma vogliamo rilevare questa modalità di fare da un lato la narrazione della partecipazione, dall’altro, nei fatti, questa partecipazione è costantemente frustrata».

Boarelli ricostruisce tutto il percorso della delibera di iniziativa popolare, dalla stesura collettiva, passando per la raccolta di firme e la presentazione in Comune, fino alla bocciatura e a una successiva protesta in Consiglio comunale. E nell’analizzare una partecipazione considerata spuntata, «su aspetti marginali», cita un articolo accademico – intitolato “Non ci resta che partecipare. Una riflessione sulla partecipazione civica a Bologna tra processi istituzionali e istanze dal basso” – che solleva le medesime critiche.

Nel suo comunicato, D(i)ritti alla Città cita molti esempi di quella che considera una partecipazione solo di facciata, come il caso del Passante di Mezzo o l’accorpamento dell’Ic8.
Per quanto riguarda la “appropriazione” dell’idea proveniente dal basso a proposito dell’albo, la rete fa ironia: «Se avete attuato due articoli della nostra delibera – osserva Boarelli – con un po’ di sforzo potete attuare anche gli altri 14 per far diventare davvero Bologna la città più progressista d’Italia».

Primogenitura o meno, resta il fatto che l’albo ora c’è. Non basta? «Noi l’abbiamo rivendicato, ma ora vediamo quanto tempo passa dall’annuncio alla realizzazione – risponde Boarelli – Dopodiché dobbiamo capire quali saranno le modalità di concessione dei beni che verranno messi a disposizione e, prima ancora, capire quali e quanti saranno, perché se di fronte all’enormità degli spazi pubblici dismessi di proprietà pubblica, ci ritrovassimo di fronte alla concessione di pochi spazi, marginali e concessi con strumenti non particolarmente trasparenti allora saremmo punto e a capo».
Quanto al riconoscimento dell’idea, Boarelli sottolinea che non si tratta di orgoglio, ma di giusto rapporto con la cittadinanza.

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