Gradi di libertà. Dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi. Se lo sono chiesti gli organizzatori della nuova mostra visibile al MAMbo, da oggi fino al 22 Novembre e che cerca di indagare il concetto di libertà attraverso lo sguardo congiunto di arte e scienza.

Gradi di Libertà: la nuova mostra al Mambo

Gradi di libertà. Dove e come nasce la nostra possibilità di essere liberi.
La mostra è parte di un progetto ideato dalla Fondazione Golinelli chiamato “Arte, scienza e conoscenza“, nato nel 2009 dalla volontà del presidente della fondazione Marino Golinelli, che, attraverso iniziative culturali annuali, si prefigge di creare un connubio tra arte contemporanea e scienza, abbracciando tematiche importanti della contemporaneità.
L‘intento pedagogico e didattico è dichiarato, infatti la fondazione mira allo sviluppo della consapevolezza dei giovani, al fine di sostenerli nella formazione culturale, perchè è “attraverso la conoscenza che si sviluppa un’etica salda”.
E la conoscenza è anche il fondamento della libertà, tema che Gradi di libertà, indaga ed interpreta, in modo pluridirezionale.
La dottoressa Cristina Perrella, curatrice della parte artistica, ai nostri microfoni ha precisato come sia stata ben forte la volontà di creare un percorso accessibile anche a chi non si è mai approcciato prima all’arte contemporanea.

Sarà inoltre possibile per i più piccoli partecipare ai diversi laboratori appositamente organizzati in ogni sezione della mostra, la quale si articola in sei sezioni ognuna rappresentante una declinazione del tema Libertà attraverso lo sguardo congiunto di arte e scienza.

Ogni sezione è composta da un breve video sulla storia delle scoperte scientifiche condotte a riguardo, e da opere di artisti contemporanei provenienti da differenti contesti ed appartenenti a diverse culture.

Alla mostra si accede attraverso la prima istallazione che è un’inno alla libertà in musica. Dell’artista americana Susanne Hiller, Die Gedanken Sind Frei (I pensieri sono liberi) ripropone, anche nel titolo che è un canto tedesco di protesta del XVI secolo, una raccolta di più di cento canzoni che fanno appello alla libertà, suonate da un jukebox e i cui testi sono scritti sulle pareti della sala.
Il Liber Paradisus, esposto all’inizio della sala centrale, accoglie i visitatori, rendendo omaggio a Bologna, primo comune italiano ad abolire la schiavitù nel 1256.
Nella prima sezione “E se la libertà fosse un’illusione?” si potrebbe considerare la performance proposta da Vanessa Beercroft, che indaga il rapporto corpo/società, una sorta di rivisitazione della massima “l’abito non fa il monaco”.
Dr.Lakra, tatuatore messicano, in un murales realizzato appositamente per l’evento che verrà poi distrutto a mostra terminata in antitesi al suo operare permanete sui corpi, realizza in tecnica mista un unico allucinante disegno accorpando elementi artistici di subculture, arcaismi e citazioni pop.
La parte scientifica è incentrata su come i meccanismi biologici, oltre che sociali, influenzino il nostro comportamento. Ma se è vero che la biologia determina anche comportamenti che noi riteniamo consci, è vero anche che gli individui che agiscono convinti di agire in modo libero, risultano essere meno condizionati degli altri.

“Non devo mica timbrare il cartellino” è lo slogan dell’individuo che vuole evadere dall’obbligo quotidiano del lavoro. L’artista cinese Tehching Hsieh il cartellino, invece lo timbra eccome! Per un anno, ogni giorno, ad ogni ora, giorno e notte, registra l’azione, che in questo caso è significante della ribellione dell’uomo agli automatismi imposti dal ciclo biologico. L’opera è esposta nella sezione “I due cervelli” che illustra come il nostro cervello sia in realtà composto da due apparati, uno che tende a funzionare per automatismi e l’altro più lento, che ci permette di affrontare le situazioni con consapevolezza.
In “Liberi si diventa” negli scatti di Ryan McGinley, la wildness americana viene vissuta da giovani ritratti in momenti di libertà e di vitalismo estremi. E sembra un videoclip rap, ma non lo è, quello dell’artista turco Hail Altindere, che in Wonderland riprende la rabbia dei giovani protagonisti che subiscono il degrado del loro quartiere.
“Libertà o gabbia digitale?”: siamo costanetemente bombardati da sollecitazioni mediali e la tecnologia digitale è oggigiorno elemento imprescindibile nella quotidianità di ognuno. Ma la possibilità di accedere ad una svariato quantitativo di informazioni, non necessariamente porta ad un’emancipazione, come, si presuppone, la conoscenza dovrebbe portare. Si tratta, infatti, per lo più di informazioni effimere destinate a sfuggire alla sedimentazione nella memoria a lungo termine, l’unica che ci permette di creare collegamenti nei ragionamenti.
Del rapporto controverso tra giovani e tecnologie digitali tratta il video di Ryan Trecartin, film-maker statunitense che, attraverso la sovrapposizione di voci e colori, rappresenta un mondo distorto e surreale il cui caos è specchio del disagio che un rapporto, frutto di mancanza di educazione nell’approccio alle nuove tecnologie, porta.
In “arte, scienza e libertà” si conferma l’importanza della scienza e dell’arte per l’affermazione della libertà. Il video di Cao Fei racconta di come, anche nel contesto standardizzato della fabbrica, sia possibile giungere ad un’espressione creativa, mentre i colorati cartelli con slogan di Bob and Roberta Smith (pseudonimo di Patrick Brill) ci ricordano che l’arte non dovrebbe mai mancare nel quotidiano. Una parte della sezione è dedicata all’artista croato Igor Grubic, che coi suoi 366 rituali di liberazione, espone gli scatti dei suoi interventi nel contesto urbano, dove fa filtrare la pratica artistica al fine di sollecitare le coscienze, istigando i fruitori a una presa di posizione.
Nasan Tur con i suoi Backpacks, kit ideati per svolgere le più diverse azioni, dal cucinare al manifestare, utilizzabili dai visitatori nella zona adibita, ci invita all’esercizio pratico della libertà.
La mostra si chiude con “I traditori della libertà”: sei filosofi che si sono occupati del concetto di libertà, sono ritratti a matita da Pietro Ruffo e ricoperti da libellule di carta.

In aggiunta sono stati messi, nella sala centrale, oggetti di uso quotidiano, esposti in teche di vetro. Il loro uso comune ed automatico non dovrebbe sottrarci dalla riflessione sulla libertà e su come, a detta dei curatori, siano essi essenziali al compimento della stessa, anche se, domanda che a me è sorta spontanea, una banconota da 50 euro, una sedia in plastica o un blocchetto di buoni di benzina, piuttosto che una scatoletta di psicofarmaci (che dovrebbe significare la possibilità dei malati psichici di inserimento nel tessuto sociale) non vedo come possano essere d’aiuto all’individuo per l’emancipazione che dovrebbe portare al compimento di sé. Ma ovviamente ogni intrepretazione è…LIBERA!