Nella Giornata Mondiale contro l’Aids, il sindaco Matteo Lepore firma la Dichiarazione di Parigi, un protocollo che impegna il Comune di Bologna a lottare contro lo stigma che vivono le persone sieropositive e per arrivare all’azzeramento delle nuove infezioni da Hiv e le morti connesse all’Aids.
«È una grossa assunzione di responsabilità – commenta ai nostri microfoni Sandro Mattioli di Plus/Blq Checkpoint, associazione in prima linea nella lotta all’Aids – Credo che Bologna abbia tutte le carte in regola per raggiungere gli obiettivi, perché già facciamo tante cose».

Lotta all’Aids, la firma della Dichiarazione di Parigi

L’iniziativa Fast-Track Cities, a cui oggi ha aderito anche Bologna, è una partnership globale tra città e municipalità di tutto il mondo e quattro partner principali: l’International Association of Providers of Aids Care (Iapac), il Programma congiunto delle Nazioni Unite sull’Hiv/Aids (UNAIDS), l’United Nations Human Settlements Programme (Un-Habitat) e la Città di Parigi. Di qui il nome “Dichiarazione di Parigi” per il protocollo.

In particolare, con la firma di oggi Bologna si impegna a raggiungere il cosiddetto obiettivo 95-95-95. «Entro il 2030 – spiega Mattioli – occorre arrivare al 95% delle persone contagiate che ricevono una diagnosi. Di queste, il 95% vanno poste in trattamento farmacologico e di queste il 95% con viremia non rilevabile, che significa non essere più contagiosi».
Obiettivi ambiziosi, ma secondo Plus/Blq Checkpoint assolutamente raggiungibili da una città come Bologna che sul tema ha all’attivo diverse azioni e servizi. Ecco perché l’associazione ha collaborato per arrivare alla firma di oggi.

I contagi di Hiv in Emilia-Romagna: il problema delle diagnosi tardive

Due giorni fa è stato l’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, a riferire i dati sui contagi lungo la via Emilia. In particolare, in linea tendenziale continuano a diminuire nella nostra regione le persone che contraggono l’infezione da Hiv: negli ultimi 16 anni il trend è costantemente in calo sia per gli uomini che per le donne, con le nuove diagnosi che si sono più che dimezzate, passando da 368 del 2006 a 175 del 2021. L’incidenza, quindi, si attesta a 3,9 casi ogni 100mila abitanti e si mantiene più alta nel sesso maschile (6,4 rispetto a 1,5 del sesso femminile).

«In realtà rispetto all’anno scorso l’aumento è visibile con decine di diagnosi in più», mette in guardia Mattioli, suggerendo che non bisogna mai abbassare la guardia.
Ma il dato che preoccupa di più è quello delle diagnosi tardive, cioè di coloro che scoprono di aver contratto il virus molto tempo dopo dall’infezione, quando è già diventata o sta per diventare Aids, che si attesta al 57%. «Questo lascia pensare che vi sia un sommerso di persone che hanno contratto l’infezione e ancora non lo sanno molto importante – osserva il responsabile di Plus – ed è lì che bisogna agire, con l’implementazione dei test sierologici e azioni di prevenzione più consistenti».

Uno dei nodi irrisolti è quello che lo stigma che vivono sulla propria pelle le persone sieropositive, ancora presente «anche all’interno della sanità, in qualche caso». Ed è alimentato dall’ignoranza delle modalità di contagio o anche dalla non conoscenza del fatto che le persone con hiv in terapia efficace non sono più contagiose.
«Lo stigma è una delle concause che porta le persone a non farsi il test per paura del giudizio e del pregiudizio, quindi è assolutamente da combattere», conclude Mattioli.

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