Nell’operazione dal nome ossimorico “Ramoscello d’ulivo”, la Turchia ha già ucciso (“neutralizzato”) 343 persone, in un conteggio che mette insieme militanti kurdi di Pkk e Ypg e terroristi dell’Isis. Erdogan avverte: “Non lasceremo alcun terrorista fino alla frontiera irachena”. L’obiettivo è “ripulire” Afrin e ogni territorio kurdo. Usa e Russia se ne lavano le mani. L’analisi del giornalista Giuseppe Acconcia.

L’operazione turca nella regione di Afrin, l’enclave curda nel nord della Siria, è un “chiaro avvertimento” della determinazione turca a “non lasciare alcun terrorista fino alla frontiera irachena”. Queste le parole pronunciate oggi dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.
A detta del “sultano” turco, lo scopo manifesto dell’operazione dal nome ossimorico “Ramoscello d’ulivo“, lanciata da Ankara una settimana fa, è quello di eliminare le milizie curde e “ripulire” la città di Minbej, a 100 chilometri da Afrin. “La Turchia prenderà in mano la situazione se gli altri non cooperano”, ha concluso Erdoğan.

Sempre oggi, lo stato maggiore turco ha diramato un bollettino con il bilancio delle azioni militari: sono 343 le persone uccise dall’offensiva turca, tra militanti curdi di Pkk e Ypg e miliziani dell’Isis, considerati dalla Turchia allo stesso modo: terroristi.
La scorsa notte sono proseguiti i raid aerei su Afrin, compiuti da 13 cacciabombardieri, che hanno distrutto 23 obiettivi tra rifugi e depostiti di armi. Le cifre non sono tuttavia verificabili in modo indipendente sul terreno.

Dopo aver utilizzato la guerriglia kurda in chiave anti-Isis, ora che lo Stato Islamico sembra notevolmente ridimensionato la comunità internazionale sembra alquanto tiepida nel condannare l’aggressione turca. Sia Usa che Russia hanno lanciato timidi inviti al rispetto dei civili e alla moderazione. Il segretario alla Difesa statunitense, James Mattis, si è limitato ad osservare che l’offensiva turca “distrae dal compito di finire lo Stato Islamico” e “impedisce il lavoro umanitario”.

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