Le scene che abbiamo visto ieri dall’aeroporto di Kabul, con persone che si attaccavano ai carrelli degli aerei pur di fuggire dall’Afghanistan, sono solo un tassello di un puzzle di gravità che accompagna la ripresa del potere dei talebani a vent’anni dall’inizio della guerra.
Se da un lato il gruppo politico dei talebani da Doha avanza richieste e si pone in modo moderato, il braccio armato del movimento presente nelle strade del Paese ha iniziato ad entrare nelle case e nelle redazioni dei media di fatto intimidendo gli afghani.
A raccontarci la situazione è la giornalista Barbara Schiavulli, fondatrice di Radio Bullets, che si trova a Roma in attesa di poter volare in Afghanistan.

L’Afghanistan nelle mani dei talebani: la situazione

«Nelle strade i talebani hanno pattuglie che vanno casa per casa a cercare le donne e compilano liste di quelle nubili o si annotano i lavori che fanno – racconta Schiavulli – Ieri sono entrati nella casa di due giornaliste, di cui una è riuscita a scappare».
Schiavulli racconta anche che i talebani sono entrati nella redazione di una delle principali emittenti televisive afghane, Tolo News, dove hanno effettuato una perquisizione, tentando di rassicurare i giornalisti dicendo che la stampa rimarrà libera. Una promessa a cui pochi credono, dal momento che solo nell’ultimo anno i talebani hanno ucciso 12 giornalisti.

L’attenzione si concentra anche sul destino delle donne, che fu una delle argomentazioni (o delle scuse) con cui gli occidentali giustificarono l’intervento bellico vent’anni fa. «Molte delle donne che ho conosciuto un mese fa quando ero a Kabul sono nascoste – racconta Schiavulli – Tutte quelle che hanno lavorato per organizzazioni occidentali o che hanno collaborato con gli americani o col governo sono terrorizzate e stanno cancellando tutti i contatti, i video e le fotografie che hanno nei loro cellulari, per impedire che vengano trovate dai talebani. Anche all’ambasciata americana e le organizzazioni umanitarie stanno distruggendo i documenti per non mettere in difficoltà le persone che hanno lavorato con loro».

Corridoi umanitari, il minimo che può fare l’Occidente

La giornalista riferisce di ricevere decine di telefonate con richieste di aiuto o di persone che chiedono come è possibile aiutare. «Sono state anche compilate delle liste di persone da mettere in salvo su un aereo, ma sicuramente non basteranno perché, se parliamo di donne, quelle in Afghanistan sono dieci milioni».
Il tema si sta facendo strada anche in Europa, continente che ha le proprie responsabilità nel disastro afghano.

Ieri il commissario europeo Paolo Gentiloni ha affermato che «l’Ue dovrà attrezzarsi per corridoi umanitari e accoglienze organizzate, per evitare flussi incontrollati di clandestini». In Italia, intanto, il Pd ha chiesto all’Europa di «garantire protezione internazionale alle cittadine e ai cittadini che si sono anche fidati di noi in questi anni, hanno collaborato con noi». Sulla stessa linea sembra essere il premier Mario Draghi, che ieri ha affermato: «Ora bisogna proteggere chi ha collaborato, chi ha lavorato per noi». Un impegno verso i profughi, dunque, ma limitato a chi ha collaborato con gli occupanti.

Quella dei corridoi umanitari, per Schiavulli, è «la strada dell’emergenza. C’è bisogno che alcune persone vengano salvate, penso a quelle che sono già state minacciate». La giornalista, però, riferisce che in questo momento in Afghanistan non c’è accesso al denaro, banche e negozi sono chiusi e i talebani controllano i confini, che sono gli accessi da cui arrivano beni o dall’Iran o dal Pakistan.
Vi sono inoltre centinaia di migliaia di sfollati, scappati soprattutto dal nord del Paese verso la capitale e, nel caso vadano via le organizzazioni umanitarie, il rischio è che queste persone finiscano allo sbando.
«Bisognerà capire come intervenire in Afghanistan, con un regime che comunque non sarà accogliente, per aiutare la popolazione civile», osserva Schiavulli.

Nel discorso di Biden il cinismo degli Usa

«La nostra missione in Afghanistan non è mai stata pensata per costruire una nazione. La scelta che avevo era proseguire l’accordo negoziato da Donald Trump con i talebani o tornare a combattere. Se necessario condurremo azioni antiterroristiche in Afghanistan». È questo un estratto delle parole del presidente statunitense Joe Biden, che ieri ha parlato alla Casa Bianca. Biden ha aggiunto che i soldati americani non possono più morire per l’Afghanistan.
Parole che sono suonate come uno scaricabarile, vista la situazione prodotta proprio dagli Stati Uniti e dai loro alleati a partire dal 2001.

«Io ho trovato il discorso di Biden sconvolgente – commenta Schiavulli – Pensavo con Trump di aver visto tutto, ma questo mi fa ancora più impressione, non solo per lo scaricabarile ma per il cinismo del discorso. Stiamo parlando di persone».
La giornalista, che è stata molto spesso in Afghanistan, contesta le parole di Biden, in particolare quando afferma che l’unico obiettivo degli Usa era combattere il terrorismo. «Se combatti il terrorismo non stai lì vent’anni a portare soldi, a dire alle persone che l’Afghanistan sarebbe stato un posto diverso e che verranno implementati i diritti. Questo gli Stati Uniti l’hanno fatto».

ASCOLTA L’INTERVISTA A BARBARA SCHIAVULLI: