Dopo il caso Hera, per il momento scongiurato, in regione si tenta di privatizzare Iren, la multiutility che serve soprattutto l’Emilia. Il meccanismo è lo stesso: riduzione delle quote pubbliche dal 51 al 25% compensate da un raddoppio del peso dei voti in cda. La denuncia Cgil: “Si procede nonostante il referendum e senza informare i cittadini. Il mercato avrà la meglio sulla qualità del servizio”.
Ciclicamente, dal 2011 ad oggi, in regione la politica si rende complice nei tentativi di privatizzazione delle multiutility che gestiscono i servizi ambientali, nonostante la chiara e manifesta volontà dei cittadini, espressa col voto referendario.
Era successo un anno fa con Hera, in particolare quando il sindaco di Bologna Virginio Merola aveva annunciato di voler vendere le azioni comunali, seguito dai colleghi, facendo scendere la quota pubblica sotto al 51%.
Il tentativo, anche in seguito alle proteste, fu scongiurato e Merola ci ripensò. Oggi, invece, è un altro colosso regionale a tentare la strada della privatizzazione e sempre secondo gli stessi meccanismi.
I Consigli comunali dei territori coperti da Iren, soprattutto in Emilia, si apprestano a votare un piano per la vendita delle azioni pubbliche, compensate da una modifica al regolamento che attribuisce un peso doppio ai soci della società da almeno due anni, in sostanza quelli pubblici. La quota pubblica, per continuare ad esercitare il controllo, potrebbe scendere addirittura al 25%.
Un piano che desta l’allarme della Cgil, che denuncia che, per quanto formalmente il controllo potrebbe restare pubblico, le dinamiche che si innescherebbero seguirebbero sempre più criteri finanziari e di mercato. La priorità della multiutility, dunque, si sposterebbe dalla qualità del servizio e dagli investimenti alla garanzia dei dividendi e della remunerazione del capitale.
“La qualità dell’occupazione, gli investimenti sulla ricerca e sullo sviluppo del servizio – osserva ai nostri microfoni Luigi Giove della Cgil – cederebbe il passo alle esigenze contingenti e quotidiane di mercato”.
Oltre a porsi in modo manifesto contro il responso del referendum del giugno 2011, secondo Giove l’operazione dice molto anche sugli spazi di partecipazione che le Amministrazioni dedicano ai cittadini che amministrano.
“Tutto ciò viene fatto senza informare preventivamente i cittadini – sottolinea il sindacalista – senza chiamarli ad esprimersi su servizi che li riguardano direttamente e quotidianamente”.