Al terzo giorno di lancio di razzi da parte di Hamas e di bombardamenti da parte di Israele, il bilancio della nuova tensione bellica in Palestina conta oltre 30 morti, oltre 700 feriti e centinaia di sfollati tutti palestinesi. A raccontare ai nostri microfoni la situazione è Meri Calvelli, responsabile del Centro Italiano di Scambi Culturali – VIK di Gaza, dove vive e si trova tuttora.
«Tutto è iniziato a Gerusalemme e Gaza è stata una conseguenza, come purtroppo accade sempre – racconta Calvelli – Due giorni fa è scaduto l’ultimatum di Hamas, che non accettava quello che stava accadendo a Gerusalemme, alle sei in punto è scoppiato il putiferio».

Le cause del nuovo conflitto in Palestina

Per capire bene cosa sta accadendo in Palestina e soprattutto perché, bisogna tornare al 12 aprile, quando è cominciato il Ramadan, il mese sacro dei musulmani che comporta digiuno e preghiera. Da quel momento a Gerusalemme sono cominciate le provocazioni da parte dei coloni di estrema destra, che sono entrati nella Spianata delle Moschee, hanno impedito l’accesso ai palestinesi, «hanno messo addirittura le barriere alla moschea principale di Gerusalemme, dove i musulmani vanno a pregare», continua Calvelli.
Non solo: i coloni si sono organizzati in gruppo e, al grido di “morte agli arabi, hanno dato vita a delle spedizioni punitive per bastonare i palestinesi. Di fronte a queste provocazioni, soprattutto i giovani palestinesi hanno iniziato a ribellarsi. Per contro, è intervenuta la polizia israeliana, ma a difesa dei coloni.

Parallelamente a ciò, a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme est, i coloni sono arrivati per scacciare i palestinesi dalle proprie case, continuando un’operazione che vede lo Stato di Israele complice, per “ripulire” Gerusalemme est dagli arabi.
«Lo sfratto di queste famiglie è del tutto illegale – sottolinea l’attivista – Queste sono famiglie che vivono lì da sempre, hanno un contratto, pagano l’affitto, alcune sono anche proprietarie dell’abitazione».
Anche la questione delle case di Sheikh Jarrah è di lungo corso. Il caso è finito sul tavolo della Corte Suprema israeliana che, però, in seguito agli scontri ha deciso di posticipare la propria pronuncia.

La stampa italiana, nel raccontare la vicenda, ha in larga parte copincollato la poisizione del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che gioca il ruolo della vittima. «Risponderemo con forza agli atti di aggressione», ha detto il premier, rimuovendo dal discorso ciò che ha acceso la miccia, cioè le continue provocazioni ed aggressioni da parte dei coloni israeliani, protetti dalla polizia.
«In questi giorni si sono tenute grandi manifestazioni di protesta in molte città della Palestina – osserva Calvelli – spesso represse dalla polizia israeliana. Non vorrei parlare di guerra civile, ma c’è una situazione molto molto tesa e non sappiamo se durerà poco o continuerà. Finché c’è l’occupazione, la situazione non si potrà risolvere».

Intanto cominciano ad essere organizzati i primi presidi di solidarietà col popolo palestinese. A Bologna, la campagna Bds ed altre realtà cittadine daranno vita ad una manifestazione che si svolgerà sabato prossimo, 15 maggio, alle 18.00 in piazza dell’Unità.

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