Domani, 9 maggio, sarà il 45° anniversario dell’uccisione di Peppino Impastato, attivista antimafia, esponente di Democrazia Proletaria e animatore di Radio Aut. Il corpo di Impastato fu trovato sulla ferrovia di Cinisi, devastato dal tritolo di un attentato organizzato dal boss mafioso Gaetano Badalamenti, nel giorno in cui a Roma venne rinvenuto il cadavere di Aldo Moro nel baule di una Renault 4.
Nel clima cupo degli anni di piombo e vista la sua militanza nella sinistra radicale, in un primo momento si sostenne che Impastato fosse rimasto vittima di un attentato che lui stesso avrebbe organizzato. In seguito, però, emerse la verità: Peppino fu ucciso per il suo impegno nella lotta contro la mafia.

Peppino Impastato e la lotta alla mafia come la lotta contro il capitalismo

Nell’ultima puntata di Vanloon, il programma di storia in onda la domenica su Radio Città Fujiko, vengono ricostruiti la vita, l’attivismo, ma anche il contesto in cui Peppino Impastato operava nella Sicilia degli anni ‘70. Ai microfoni della redazione, tra gli altri, c’è anche Alfio Nicotra, giornalista e autore del libro “L’Agile Mangusta, Democrazia Proletaria e gli anni 80” (Edizioni Alegre).
È Nicotra che spiega la difficoltà della militanza nella sinistra radicale durante gli anni di piombo, in un contesto, la Sicilia, in cui la Democrazia Cristiana era legata a forze molto legate alle organizzazioni criminali, come dimostreranno gli omicidi di fine anni ‘80, tra cui Salvo Lima e Vito Ciancimino.

«Negli anni di piombo era complicato opporsi da sinistra al governo di unità nazionale – osserva il giornalista – Il giorno del rapimento di Aldo Moro il governo Andreotti otterrà addirittura il voto di fiducia favorevole, non più di astensione, da parte del Partito Comunista. Qualsiasi posizione di dissenso al governo di unità nazionale era, per certi media e anche per i partiti di governo, avvertita come un grande fastidio e collaterale al terrorismo rosso».
La militanza di Peppino Impastato in Democrazia Proletaria, quindi, lo esponeva ad un’assimilazione al terrorismo, come dimostrerà il tentativo di depistaggio operato dopo la sua morte. “Ultrà di sinistra dilaniato dalla sua bomba” era il titolo del Corriere della Sera del 10 maggio 1978.

Peppino Impastato
L’articolo del Corriere della Sera del maggio 1978

Per l’omicidio di Peppino Impastato verrà condannato come mandante il boss mafioso Gaetano Badalamenti, ma sono nel 2002, dopo che il caso venne archiviato per ben due volte, nel 1984 e nel 1992.
Al di là della verità giudiziaria, saranno due in particolare gli avvenimenti a contribuire in modo decisivo a restituire alla figura di Peppino Impastato la dignità conquistata con il lavoro di controinformazione su Radio Aut e, in generale, nella lotta alla mafia. «I funerali di Peppino Impastato furono un elemento di rottura del sospetto legato al depistaggio – osserva Nicotra – La presenza al funerale di centinaia di bandiere rosse e una presenza popolare molto importante servì a rompere la cappa che lo accusava di essere un terrorista. E la manifestazione che si svolse l’anno successivo significava che Peppino Impastato non era stato dimenticato».

Anche se nel ricordo generale la figura di Peppino Impastato viene narrata esclusivamente come quella di un attivista antimafia, il giornalista sottolinea come la lotta alla criminalità organizzata e la militanza nella sinistra radicale fossero legate a doppio filo.
«In seguito a quella manifestazione cominciò la stagione della cosiddetta “antimafia sociale” – osserva Nicotra – Oggi la diamo per scontata, ma allora fu l’apertura di una stagione politica, di un modo di approcciarsi contro questo potere criminale che faceva parte del capitalismo contemporaneo. Per Peppino Impastato la mafia non era una questione di costume, come spesso veniva narrata, ma era una questione strutturale del sistema di potere del capitalismo, in Sicilia e in tutto il Paese».

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ALFIO NICOTRA: