Una delle chiavi di volta per contrastare la violenza e le discriminazioni di genere è rappresentata dall’educazione alle differenze. Contrastata dai fondamentalisti “anti-gender” e trattata con poca attenzione dalla politica, la rete che lavora su questi temi partecipa a #NonUnaDiMeno il 26 e 27 novembre. Abbiamo fatto il punto con Giulia Selmi.

Anche “Educare alle differenze“, la rete italiana di associazioni, scuole e professionisti dell’educazione di genere, parteciperà alla manifestazione “Non Una di Meno”, che si svolgerà il 26 e 27 novembre a Roma. Sarà presente al corteo del sabato e parteciperà anche alle tavole rotonde di domenica 27, dove proporrà l’individuazione di alcune priorità e alcune richieste su come utilizzare lo strumento dell’educazione per contrastare violenza e discriminazioni di genere.
“Educare alle differenze – spiega ai nostri microfoni Giulia Selmi, una delle animatrici della rete – significa inserire all’interno dei processi educativi uno sguardo che permetta a ragazze e ragazzi di interpretare in maniera diversa i rapporti tra il maschile e il femminile, vedere le disuguaglianze e mettere in discussione il potere e la violenza come strumenti di azione nelle relazioni”.

Eppure, negli ultimi tre anni, progetti e iniziative che puntano a modificare la cultura patriarcale e maschilista non hanno avuto vita facile.
“Del ruolo della scuola e dell’importanza della prevenzione di qualunque fenomeno sociale, compresa la violenza di genere, si fa un gran parlare – osserva Selmi – ma quando si parla di finanziare i progetti o renderli possibili le cose vanno in maniera diversa”. Ciò succede per il contraccolpo culturale dei movimenti fondamentalisti anti-gender, ma anche a causa di un sistema politico che ritiene queste cose accessorie e poco importanti.
Fino alle iniziative, più mediatiche che effettive, di istituzioni come la Regione Lombardia e la Regione Liguria che hanno annunciato servizi “anti-gender”.

Nonostante le difficoltà, in questi anni la rete di “Educare alle differenze” si è allargata e ha proposto e dato vita a progetti rivolte a ragazze e ragazzi, progetti rivolti agli insegnanti, fino ad iniziative editoriali di alcune case editrici.
“Più che un grande caso o un grande progetto – conclude Selmi – c’è un’onda di piccoli progetti e saperi diffusi che aspetta di essere riconosciuta, finanziata come merita e di poter fare il proprio lavoro senza doversi scontrare con i fanatici anti-gender o una politica poco attenta”.