Quando si parla di questioni di testamento biologico, omosessualità, genitorialità, compresa la popolarissima gestazione per altri, e aborto, il dibattito italiano diventa uno scontro di opinioni. E così, mentre si alzano barricate morali e si accende il fuoco del fanatismo, ci si dimentica della realtà dei fatti.  ASCOLTA L’INTERVISTA INTEGRALE A CHIARA LALLI

La doccia fredda questa volta è arrivata dal Consiglio d’Europa, che l’11 aprile scorso si è pronunciato in seguito ad un ricorso presentato dalla Cgil. Secondo l’organizzazione internazionale europea, infatti, in Italia è troppo difficile per le donne interrompere le gravidanze, e i medici non obiettori – cioè quelli disposti a praticare l’aborto – sono discriminati sul posto di lavoro. Ci sono le opinioni quindi, e poi c’è la realtà, che spesso e volentieri con le opinioni non ha nulla da spartire.

Chiara Lalli, bioeticista e collaboratrice di Internazionale, cerca con il suo lavoro di analizzare cosa è opinione e cosa realtà, per rendere il dibattito pubblico ragionevole e razionale. Se si fa un po’ di chiarezza lasciando nel cassetto le faziosità, da qualsiasi parte provengano, si scopre ad esempio che “Gender non significa altro che genere” mentre ciò che spaventa è la parola da cui viene spesso accompagnato: “ideologia”.

Il genere indica la percezione che si ha di sé: se uomo, donna, o in qualcosa di diverso da queste due polarità. Se la società attribuiva un ruolo alle persone rispetto alla loro differenza sessuale, è stato ampiamente dimostrato che non ha niente a che fare con la biologia ma è un fatto prettamente culturale. E la cultura, si sa, è una costruzione sociale. L’uso del termine “ideologia” o “teoria” per un concetto, quello di genere, antico quanto la nostra società, si colloca in una strategia mediatica ben precisa. Quella per cui si preferisce che i cittadini siano allarmati riguardo concetti semplici e innocui. “La paura di conoscere sta nel non conoscere”, replica Lalli “la realtà non si distingue in base ai nostri orientamenti sessuali, ma da come siamo fatti noi individualmente.”

   Un ulteriore argomento su cui si sono sviluppati preconcetti dettati dalla non conoscenza è quello della famiglia. Nella realtà dei fatti, al di là delle convinzioni personali di ognuno, esistono famiglie diversissime tra loro: ci sono bambini e bambine cresciuti da una sola donna, o da un solo padre, o addirittura ci sono famiglie formate da persone che non hanno alcun legame biologico tra loro. E se si usa il concetto di natura per condannare la stepchild adoption o la maternità surrogata, lo si dovrebbe utilizzare per condannare molte altre pratiche. Infatti, come sottolinea Chiara Lalli: “Le malattie sono naturali e tutti i modi che usiamo per tornare a esseri sani sono innaturali.” Basta spostare i termini della questione in un altro ambito perché l’argomentazione della naturalità perda  tutto il suo valore.

 L’uso di termini quali propaganda gender, utero in affitto o matrimonio gay, inoltre, contribuisce alla percezione distorta rispetto a tali questioni. “Le parole sono importanti – recitava Nanni Moretti – Chi parla male, pensa male e vive male.” Le parole, infatti, non sono solo espressione del nostro pensiero, ma lo plasmano. Si tratta della capacità performativa del linguaggio nella costruzione sociale della realtà. Va da sé che l’uso di alcune parole, a scapito di altre, veicola una particolare semantica che spesso però offusca il reale significato. È una strategia linguistica ben precisa e spesso vincente “Si pensi all’uso degli slogan ProLife – fa notare la bioeticista – per smontarli e per far capire che è una negazione delle scelte delle singole persone è necessario più tempo.”

Ciò che viene messo in discussione nella pubblica piazza mediatica sono i diritti civili, che in quanto tali, sono indipendenti dalle proprie credenze politiche, religiose e culturali, o dal proprio orientamento sessuale. Chi si oppone all’allargamento delle possibilità di formare una famiglia a persone dello stesso sesso o si oppone all’aborto tout court, si arroga un privilegio. I diritti lgbt, di cui si è fatto carne da macello, sono prima di tutto “diritti fondamentali di ogni persona” e in quanto tale riguardano tutti noi.

D’altronde viviamo in un Paese, dove si applica in modo del tutto arbitrario una legge che sta per compiere 38 anni. Dal 1978 ad oggi alcune cose sono cambiate: l’art 9 della 194 è un privilegio per l’operatore sanitario, secondo Lalli, che aveva senso nel momento in cui è stata stilata, non oggi. “In una gerarchia tra la possibilità dell’operatore sanitario di far obiezione di coscienza e la richiesta da parte della donna di un servizio sanitario, la forza sta su quest’ultima.” I numeri spaventano, se si considera che in alcune strutture sanitarie 1 medico su 30 non è obiettore, cioè esegue correttamente il proprio lavoro, rispetto al 70% degli obiettori di coscienza.

 Esprimersi su argomenti che toccano corde profonde dell’esperienza umana risulta quasi sempre complesso. In queste occasioni, al posto di chiedersi se si è a favore o meno di una certa questione, sarebbe utile porsi la domanda in questo modo: “Sono a favore o meno della possibilità che le persone scelgano?”.

Noemi Tediosi e Alina Dambrosio


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