Nonostante lo stop nelle urne, le associazioni ambientaliste annunciano che la battaglia continuerà e che potrebbe spostarsi sul piano legale: la norma del governo viola una direttiva europea. Da considerare anche gli impegni presi a Cop21.

Il day after il referendum sulla durata delle concessioni per le trivellazioni in mare, le associazioni ambientaliste non hanno alcuna intenzione di arrendersi. Il quorum della consultazione di ieri non è stato raggiunto, ma restano altri strumenti, ad esempio quelli legali, per continuare la battaglia. Battaglia che, oltre a puntare contro “l’ingiustizia” – come la definisce Legambiente – di un bene comune dato senza scadenza a soggetti privati, riguarda più in generale la transizione ad un modello energetico che abbandoni i fossili.

LE CAUSE DEL FLOP. Dopo la conferma del mancato raggiungimento del quorum, le associazioni ambientaliste hanno diffuso diversi comunicati stampa in cui indicano quali sono, a loro avviso, i motivi per i quali non si è raggiunta la quota del 50% +1 di elettori alle urne. Difficoltà ai seggi, disinformazione e inviti all’astensione sono le cause principali.
“A determinare questo risultato – scrive invece Greenpeace – hanno contribuito i tempi contratti della campagna referendaria, il rifiuto del governo di indire un Election Day e una strategia politico-mediatica che a lungo ha tenuto sotto silenzio il tema del referendum sulle trivelle”.

A conferma di quest’ultimo aspetto arriva anche lo studio di DataMediaHub, che ha elaborato i dati dell’Agicom. In particolare, emerge come sia pochissimo lo spazio dedicato al referendum da parte, soprattutto, dei telegiornali del servizio pubblico, quindi la Rai.

LA BATTAGLIA CONTINUA. Lo stop elettorale non fermerà gli ambientalisti. Tutte le associazioni lo dicono chiaro e tondo, citando ad esempio gli impegni presi dal governo italiano nel corso di Cop21.
La battaglia, però, potrebbe spostarsi anche sul fronte legale. Greenpeace, in particolare, si appresta quindi a inviare un atto di denuncia alla Commissione Europea per segnalare alcune violazioni alle direttive europee che denotano sistematici aggiustamenti delle norme e dei principi del Diritto comunitario a favore degli interessi dei petrolieri.

In particolare, per quanto riguarda la scadenza delle concessioni la leva è rappresentata dalla Direttiva 94/22/CE, recepita dall’Italia con D.Lgsl. 625/96, secondo la quale “l’estensione delle aree costituenti oggetto di autorizzazioni e la durata di quest’ultime devono essere limitate”. La norma del governo Renzi, invece, viola la disposizione e lascia dubbi anche per le operazioni di smantellamento e bonifica dei siti.

Vi è poi una questione economica, che potrebbe destare l’attenzione della Corte dei Conti. L’estensione ad esaurimento, infatti, consente alle società petrolifere di programmare l’estrazione appena al di sotto della soglia di esenzione dal pagamento delle royalties. Ciò, di fatto, crea le condizioni per un’evasione legalizzata delle tasse da parte dei petrolieri.