Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo, arriva alla Camera il ddl che dovrebbe colmare il vuoto normativo tutto italiano sul reato di tortura. All’interno del testo, però, il crimine in questione viene contrassegnato come generico, e non specifico, ed inoltre non si prevede l’imprescrittibilità del fatto. Due punti chiave raccomandati solo due giorni fa al nostro Paese dalla stessa Corte

Nel 1764 l’opera Dei Delitti e delle Pene di Cesare Beccaria faceva storia, oggi a distanza di un bel po’ di decenni il Bel Paese non sa ancora dotarsi di una normativa adeguata che introduca il reato di tortura all’interno dell’ordinamento italiano. Ed anche a pochi giorni dalla sentenza della Corte di Strasburgo, che ha condannato il nostro Paese sottolineando che quella notte di luglio 2001 alla scuola Diaz di Genova fu tortura, il Parlamento ancora una volta non convince.

A sottolinearlo è chi come Lorenzo Guadagnucci, giornalista allora del Resto del Carlino impegnato nel seguire il G8 nel 2001, che ancora oggi porta sul suo corpo i segni di quella che fu definita una macelleria messicana. “La legge – spiega il cronista – presentata è ancora una volta una beffa e lo era già nella formulazione discussa al Senato. Mancano due cardini tipici di ogni legge seria sulla tortura: ossia la previsione del fatto in questione non come reato generico ma specifico del pubblico ufficiale, e l’imprescrittibilità stessa del crimine“. Due punti, quest’ultimi, richiamati dalla stessa sentenza della Corte di Strasburgo.

D’altro canto sta intanto per essere approvato alla Camera il testo di legge che non prevede nessuno dei due aspetti sottolineti dal giornalista e da Strasburgo, ma che dovrebbe colmare quel vuoto normativo, a cui si cerca di dare una soluzione da circa due anni. Da quando la prima bozza del ddl arrivò in Commssione Giustizia del senato il 22 luglio 2013, venne votata da palazzo Madama e trasmessa poi alla Camera dove è rimasta fino a marzo. Ora se Montecitorio confermerà le modifiche, il provvedimento dovrà tornare in Senato per l’approvazione definitiva.

Il testo in esame, composto da 7 articoli, prevede che la tortura, la cui definizione in sé è stata modificata più e più volte, sia un reato comune punibile con la reclusione da 4 a 10 anni qualora sia dimostrata la posizione subordinata della vittima. Se a compiere il fatto però è un pubblico ufficiale è prevista un aggravante e la pena prevista sale da 5 a 12 anni.

“Nel frattempo sono state introdotte una serie di modifiche all’ articolo 1 su cosa sia la tortura, oltre ad una serie emendamenti scritti dai sindacati di polizia con cui si arriva a rendere difficilmente applicabile la legge stessa” continua Guadagnucci che sottolinea inoltre come all’interno delle aggravanti previste, se a compiere il fatto sia un pubblico ufficiale, vi siano una serie di dettagli che potranno essere difficilmente riscontrati dal giudice al momento dell’applicazione.

Dunque se gli altri ordinamenti intenazionali, compresa la stessa Carta delle Nazioni Unite prevedono una normativa specifica sui casi di tortura, l’Italia si dimostra al di sotto degli standard mondiali. “Questo ddl non fa altro che confondere le acque e svuotare di significato la legge in sé – afferma Guadagnucci -. Ed il tutto va nella direzione pretesa dai sindacati e vertici polizia sempre contrari a questo disegno”.
E questo nonostante, come ha sottolineato la Corte, l’Italia abbia seri problemi nel controllare il comportamento delle forze dell’ordine in situazioni particolari, come fu il G8 di Genova. Poteva dunque essere, secondo Strasburgo, l’occasione giusta per dare un segnale forte.
“Invece il Parlamento si è dimostrato incapace di svolgere il ruolo che dovrebbe, adeguandosi agli standard retrogadi delle forze dell’ordine, ancora poco trasperenti e impregnate di corporativismo. Diventa difficile per un potere politico debole come il nostro formulare delle normative non gradite a chi è più forte di lui” conclude il giornalista.