L’onda di indignazione per l’iniziativa antisemita degli ultras laziali appare inspiegabile per il fatto che questi episodi sono all’ordine del giorno. La lettura dei brani di Anna Frank, la proposta di scendere in campo con maglie dedicate, la visita alla sinagoga di Lotito sono iniziative spot alquanto inutili. Uisp e Mondiali Antirazzisti portano avanti progetti di prevenzione strutturati, ma la Lega di Serie A non ha rinnovato i fondi.

Tutti in coro contro l’iniziativa dei tifosi della Lazio, che hanno usato l’immagine di Anna Frank come simbolo per la rivalità con la tifoseria della Roma. L’indignazione al gesto di matrice razzista e antisemita è stata pressoché unanime e, nella giornata di ieri, abbiamo letto di proposte e iniziative simboliche da mettere in campo come risposta a quei fatti.
Dalla lettura di brani del “Diario di Anna Frank” prima dell’inizio delle partite alle grafiche che ritraggono la ragazzina ebrea con le maglie di tutte le squadre (mossa forse ugualmente irrispettosa verso la storia della ragazzina), fino all’idea di far scendere in campo i giocatori con maglie che ritraggono la stessa Anna Frank.

In casa Lazio, il presidente della società Claudio Lotito si è recato ieri alla sinagoga romana a deporre fiori e a promettere viaggi ad Auschwitz per 200 studenti all’anno, come forma riparatoria al danno fatto.
A Bologna, invece, si vaneggia di una sorta di contrappasso che toccherebbe ai tifosi laziali, “costretti” a sedersi nella curva che porta il nome di Arpad Weisz, l’allenatore rossoblu ebreo morto ad Auschwitz. Come se la cosa rappresentasse una sorta di punizione all’antisemitismo e al razzismo profuso dagli ultras.

Ad accomunare tutte queste cose, più simboliche che concrete, è di sicuro l’ipocrisia di quanti si indignano accorgendosi solo ora del fenomeno presente da molto tempo negli stadi italiani e propongono pugni di ferro che colpiscono solo pochi capri espiatori o iniziative-spot simboliche, che non hanno alcun impatto nella soluzione del problema.
Eppure un altro approccio esiste e dà i suoi risultati. A mancare, però, è il sostegno di quanti oggi si strappano le vesti.

“Due anni fa abbiamo dato vita ad un progetto, chiamato ‘Il calciastorie’ – racconta ai nostri microfoni Carlo Balestri, anima dei Mondiali Antirazzisti e di Uisp – coinvolgendo la Lega di Serie A e andando nelle scuole a fare educazione. Peccato che l’anno successivo i presidenti hanno fatto mancare il sostegno economico all’iniziativa“.
Secondo Balestri, le società sono più interessate a spartirsi i soldi dei diritti televisivi che ad esercitare la responsabilità sociale che compete loro. I progetti strutturati che possono agire concretamente sul problema, quindi, faticano a trovare supporto.

Un modo serio di lavorare, dunque, esiste. “Si potrebbero coinvolgere i calciatori di Serie A – continua Balestri – non in modo improvvisato, ma anche attraverso della formazione, avvalendosi delle sensibilità che già esistono tra gli sportivi e affiancandoli a personale che è competente su questi temi”.
Le società dovrebbero “prestare” i giocatori a questo tipo di progetti e devono credere, anche attraverso investimenti, per andare nelle scuole o incontrare i tifosi in modo strutturato. “In questo modo – conclude Balestri – si crea una comunità basata su valori di inclusione e nel medio-lungo periodo si vedrebbero dei risultati”. Il punto, però, è che i presidenti dei club e le istituzioni calcistiche dovrebbero crederci davvero.

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