È un quadro drammatico quello che emerge dal rapporto “Terraingiusta”, curato da Medici per i diritti umani (Medu), sulla condizione di sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura. Lavoro nero, sottosalario, caporalato, mancanza di sicurezza e situazioni abitative e igienico-sanitarie disastrose.

Terraingiusta. Rapporto sulle condizioni di vita e di lavoro dei braccianti stranieri in agricoltura” è il frutto del lavoro di 11 mesi realizzato da Medici per i Diritti Umani (Medu), attraverso testimonianze e dati raccolti sul campo in cinque territori dell’Italia centrale e meridionale. Il rapporto scatta una fotografia inquietante di quelle che sono le condizioni di sfruttamento dei lavoratori migranti in agricoltura: lavoro nero o segnato da gravi irregolarità contributive, sottosalario, caporalato, orari eccessivi di lavoro, mancata tutela della sicurezza e della salute, difficoltà nell’accesso alle cure, situazioni abitative ed igienico-sanitarie disastrose.

In tutti i territori oggetto dello studio – dalla Piana di Gioia Tauro in Calabria, alla Piana del Sele in Campania, dal Vulture Alto Bradano in Basilicata all’Agro Pontino nel Lazio – emerge che la gran parte dei lavoratori stranieri assistiti dal team di Medu era in possesso di un regolare permesso di soggiorno, “ma le condizioni di sfruttamento purtroppo non cambiano – spiega Alberto Barbieri, coordinatore di Medu –  è un quadro drammaticamente desolante”. Il fenomeno del lavoro nero, secondo il rapporto, è predominante nella Piana di Gioia Tauro dove l’83% dei migranti incontrati lavorava senza contratto. Ciò nonostante, anche laddove i lavoratori con contratto sono risultati essere la maggioranza (circa i due terzi nella Piana del Sele e nel Vulture Alto Bradano e quasi il 90% nell’Agro Pontino) è diffuso il “lavoro grigio”, caratterizzato da sottosalario e irregolarità contributive. La presenza di un contratto, dunque, per il migrante non è sinonimo di garanzia di un equo rapporto di lavoro. “Spesso le giornate dichiarate sono molto inferiori rispetto al lavoro effettivamente svolto – sottolinea Barbieri – abbiamo documentato anche pratiche illegali come la compravendita di contratti di lavoro, pagati dal migrante da 500 a 1500 euro per poi avere anche il permesso di soggiorno”.

In tutti i territori analizzati è poi diffusa la pratica del caporalato, in modo particolare in quei contesti con maggior presenza di lavoratori stagionali come la Piana di Gioia Tauro e il Vulture Alto Bradano, dove rispettivamente i due terzi e la metà dei migranti intervistati hanno ammesso di aver dovuto ricorrere a tale tipo di intermediazione illecita per trovare lavoro. “D’altro canto – prosegue il rapporto di Medu – in un territorio come l’Agro Pontino, dove la quasi totalità dei lavoratori è stanziale, il fenomeno del caporalato si presenta con caratteristiche peculiari abbracciando l’intero ciclo del lavoro, a partire dal reclutamento nel paese d’origine, e assumendo talvolta le caratteristiche di una vera e propria tratta di esseri umani“.

Assai gravi sono inoltre le condizioni abitative e igienico-sanitarie: “La situazione è particolarmente grave in Calabria e Basilicata, dove i lavoratori che abbiamo incontrato sono in gran parte stagionali – spiega Barbieri – Abbiamo trovato situazioni disastrose, da crisi umanitaria, baraccopoli, braccianti costretti a vivere in casolari abbandonati e fatiscenti, privi di qualsiasi servizio. È uno scenario che si ripete ogni anno, senza che vengano approntate misure adeguate per l’accoglienza”.

A fronte di un fenomeno di sfruttamento di così ampie proporzioni, il rapporto Medu evidenzia l’assoluta insufficienza delle risposte delle istituzioni locali e nazionali. “Anche se il nostro lavoro riguarda il sud Italia – sottolinea Barbieri – pensiamo che il problema riguarda tutta la comunità nazionale, che esige risposte forti e immediate da parte delle istituzioni”. Carenti, quantomeno dal punto di vista attuativo, i programmi messi in campo la scorsa stagione dai governi regionali di Puglia e Basilicata, con il preciso obiettivo di migliorare le condizioni lavorative e abitative dei migranti impiegati in agricoltura. “Se le intenzioni e le strategie di fondo possono anche essere condivisibili poi l’attuazione pratica è stata molto carente – rimarca il coordinatore – Chiediamo fin da subito che per la stagione alle porte vengano approntate misure abitative e di accoglienza per i lavoratori stagionali dignitose e dotate di standard minimi. Il problema deve essere affrontato con una strategia integrata di medio-lungo periodo”.