A 30 anni dalla storica adozione della Convenzione Onu contro la tortura, Amnesty International lancia una campagna per denunciarne un aumento con la scusa della sicurezza nazionale. Registrati casi in 141 Paesi negli ultimi 5 anni. E l’Italia ne fa parte.

Messico, Filippine, Marocco, Nigeria, ma anche Italia. La tortura messa in atto dai governi è una pratica globale e trasversale e, nonostante siano trascorsi 30 anni dall’adozione della Convenzione delle Nazioni Unite, è addirittura in aumento.
Per questo Amnesty International ha lanciato la campagna “Stop alla tortura” con la quale chiede la fine delle atrocità e sottolinea gli impegni non mantenuti dagli Stati negli ultimi trent’anni.

“La vietano per legge, la facilitano nella pratica. Ecco la doppia faccia dei governi quando si tratta della tortura – ha dichiarato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty International Italia – Non solo la tortura è viva e vegeta, ma il suo uso sta aumentando in molte parti del mondo poiché sempre più governi tendono a giustificarla in nome della sicurezza nazionale, erodendo così i progressi fatti negli ultimi 30 anni”.

“Quella Convenzione era stata il prodotto di una campagna di Amnesty International contro la tortura – ricorda Marchesi – È disarmante rendersi conto che, nonostante i progressi fatti da allora, 30 anni dopo ci voglia un’altra campagna di Amnesty International affinché sia rispettata”.
Sono 155 i Paesi ad aver ratificato, dal 1984 ad oggi, la Convenzione, eppure emerge che in 141 Paesi si sono registrati casi di tortura, 79 i Paesi che si sono macchiati di tale pratica nel 2014.
In alcuni di questi Paesi la tortura è sistematica, in altri è un fenomeno isolato ed eccezionale. Ma, sottolinea l’organizzazione per i diritti umani, anche un solo caso di tortura è completamente inaccettabile.

Nel rapporto della campagna globale “Stop alla tortura”, intitolato “La tortura oggi: 30 anni di impegni non mantenuti”, è riportato un lungo elenco di metodi di tortura usati contro presunti criminali comuni, individui sospettati di costituire una minaccia alla sicurezza nazionale, dissidenti, rivali politici e altre persone ancora: dall’obbligo di rimanere in posizioni dolorose alla privazione del sonno, dalle scariche elettriche ai genitali allo stupro.

Amnesty International chiede ai governi di introdurre e applicare garanzie di protezione per prevenire e punire la tortura, come esami medici adeguati, immediato accesso agli avvocati, visite di organismi indipendenti nei centri di detenzione, indagini efficaci e indipendenti sulle denunce, procedimenti nei confronti dei presunti responsabili e adeguata riparazione per le vittime.

Mentre l’azione di Amnesty International per prevenire e punire la tortura prosegue a livello mondiale, la campagna “Stop alla tortura” si concentrerà su cinque paesi dove la tortura è praticata in modo ampio e dove l’organizzazione per i diritti umani ritiene di poter contribuire a cambiare significativamente la situazione.
Tra questi c’è, purtroppo, anche l’Italia, che verrà sollecitata a colmare il ritardo di oltre 25 anni e ad introdurre finalmente il reato nel codice penale.

“A 13 anni dal G8 di Genova del 2001, molti dei responsabili di gravi violazioni dei diritti umani sono sfuggiti alla giustizia e nel nostro paese non esistono strumenti idonei per prevenire e punire le violazioni in maniera efficace. Nel frattempo, molti altri casi che chiamano in causa la responsabilità delle forze di polizia sono emersi e, purtroppo, continuano a emergere senza che vi sia stata una risposta adeguata da parte delle istituzioni”, spiega Marchesi.
Il 5 marzo il Senato ha approvato un testo unificato che qualifica la tortura come reato specifico prevedendo l’aggravante nel caso in cui sia commesso da un pubblico ufficiale. Non è passata la disposizione che prevedeva l’istituzione di un fondo nazionale per le vittime della tortura.