Gli ex consiglieri regionali Andrea Defranceschi e Giovanni Favia sono stati assolti, perché “il fatto non sussiste”, nel processo sulle spese pazze in Regione. Amaro il commento di Favia: “Non festeggerò, hanno distrutto delle reputazioni indagando anche chi, come me, ha denunciato i furti. Qualcuno mi deve delle spiegazioni”.

Consiglieri M5s assolti, ma non basta

“Il fatto non sussiste”. Con questa motivazione il gup Rita Zaccariello ha assolto gli ex consiglieri regionali Andrea Defranceschi e Giovanni Favia, ex esponenti del M5S, nel processo sulle spese pazze in Regione.
Un’indagine scoppiata in tutta Italia dopo il caso-Fiorito nella Regione Lazio, che ha investito come un terremoto molti Consigli regionali.
Questa mattina la pm Morena Plazzi aveva chiesto la condanna ad un anno e sei mesi per Defranceschi (allora capogruppo) e un anno e quattro mesi per Favia, ma il giudice ha rigettato le accuse.

“Non avevo dubbi – commenta ai nostri microfoni Favia – Non ho mai preso un’auto blu, ho spesso pagato di tasca mia, sono stato un esempio di sobrietà e, anzi, ho denunciato prima del caso-Fiorito i furti che avvenivano in Regione“.
L’ex consigliere, però, precisa che non festeggerà l’assoluzione, sentendosi vittima di un errore giudiziario e di una Procura che ha un po’ sparato nel mucchio, procedendo in alcuni casi senza evidenze e mettendo sotto indagine tutti e 50 i consiglieri. “Per quanto non condivida etica ed idee politiche con quasi nessuno dei miei ex colleghi – prosegue Favia – sono consapevole che non potevano esserci 50 ladri in Regione”.

Quello che è accaduto, però, ha portato serie conseguenze sulla reputazione di coloro che, alla fine, sono stati assolti. “Qualcuno ne risponderà, qualcuno mi deve delle spiegazioni – afferma Favia – È stata una vicenda assurda e, specialmente in politica, spesso un avviso di garanzia per l’opinione pubblica assomiglia ad una condanna”.
Non è in effetti la prima assoluzione che si registra nel processo e la Procura, secondo l’ex consigliere, avrebbe dovuto muoversi con più cautela e non mettere sullo stesso piano chi effettivamente ha rubato e chi ha denunciato quei furti.

Per non parlare dei pretesti che indagini di questo tipo possono rappresentare per giochi politici interni ai partiti. “Io me ne ero già andato dal Movimento, perché ormai è diventato un flusso di marketing – continua Favia – ma il mio collega Defranceschi ha pagato a pagato a caro prezzo, vedendosi stoppata la carriera politica”.
Defranceschi fu cacciato dal movimento proprio con la scusa dell’inchiesta che pesava sulla sua testa. “Per i parlamentari vicini al capo però – sottolinea Favia – si sono cambiate in corsa le regole quando sono finiti sotto indagine”.