Il superamento del bipolarismo, la vittoria di Sanchez e le due antitetiche ipotesi di coalizione di governo, la sconfitta della destra moderata e l’avvento dell’estrema destra. L’analisi del voto spagnolo dell’analista di YouTrend Salvatore Borghese e il commento del giornalista Luca Tancredi Barone.

Partito Socialista spagnolo: quale futuro?

Le elezioni che si sono svolte questa domenica ci consegnano una Spagna dimentica della propria tradizione bipolare ma determinata ad esprimere la propria opinione, che vede in Sanchez e nei socialisti i grandi vincitori e nel centrodestra del PP i grandi sconfitti. Ma anche per il movimento di estrema destra Vox queste elezioni hanno segnato un successo, anche se il 10,3% raggiunto dai nazionalisti – per quanto impressionante per un partito pressoché inesistente all’ultima tornata elettorale – non sia l’exploit che alcuni si aspettavano.

“Il voto spagnolo ha confermato quelle che sono delle tendenze che abbiamo visto anche in altri paesi europei -spiega Salvatore Borghese di YouTrend – tra cui l’Italia in cui viene a mancare quello che storicamente abbiamo definito tradizionale bipolarismo tra due forze. Cioè tra i socialisti da una parte e i popolari dall’altra parte. Quindi queste elezioni ci danno non più due partiti principali a addirittura cinque partiti, tutti loro con l’ambizione di formare un’alleanza per il governo”.
Di questi cinque partiti (I socialisti del PSOE, il centrodestra del PP, i centristi di Ciudanos, Podemos e Vox) il vero vincitore, l’unico che certamente sarà necessario alla formazione di un governo di maggioranza, è il PSOE di Sanchez. Con una maggioranza del 28,7% e 123 seggi infatti il Partito Socialista è “indispensabile per formare una maggioranza -spiega Borghese – perché non ha abbastanza seggi per formare un governo da solo ma tutti gli altri partiti messi insieme non possono coalizzarsi perché sono politicamente troppo lontani per escluderlo dal governo. I socialisti hanno due opzioni molto diverse tra loro che avrebbero conseguenze molto diverse per la Spagna ma anche per l’Europa”.

Il nuovo governo Sanchez infatti non potrà appoggiarsi unicamente a Podemos, ma se vorrà formare una coalizione a sinistra dovrà formare una coalizione che comprenda anche i partiti autonomisti: quelli dei baschi del PNV, ma soprattutto quelli della sinistra indipendentista catalana (ERC). L’alternativa sposterebbe di molto l’asse politico e l’agenda del nuovo governo, e vedrebbe l’alleanza del PSOE con i centristi di Ciudadanos. “L’opzione più naturale -spiega l’analista di YouTrend – sarebbe quella di continuare l’alleanza con Podemos e altri partiti di sinistra che hanno sostenuto il suo governo di minoranza nell’ultimo anno. Questa potrebbe essere un’opzione un po’ difficile non solo perché è difficile arrivare effettivamente alla maggioranza dei seggi, ma perché i partiti autonomisti sono proprio quelli che hanno fatto cadere il suo governo quando gli hanno bocciato la legge di bilancio. Ovviamente il governo Sanchez non è caduto perché c’erano dei dissidi sulla legge di bilancio che anzi era molto progressista, era ben vista anche da questi partiti, ma perché ci sono dei dissensi sulla questione dell’autonomia catalana. L’alternativa per i socialisti, cioè quella di fare un’allenaza con i centristi, è completamente alternativa perché questo partita centrista è fortemente contrario agli autonomisti catalani, è fortemente contrario alla richiesta di indipendenza, e quindi un’alleanza di questo tipo sarebbe di colore radicalmente diverso”.

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Riguardo alla maggioranza che andrà a sostenere il nuovo governo, probabilmente ci sarà una novità rispetto al passato, dal momento che, come spiega Luca Tancredi Baroni, giornalista free lance da anni residente in Spagna, “un elemento importante nella politica spagnola è che c’è una lunga tradizione di governi di minoranza, dal livello municipale al livello nazionale, nel senso che, una volta superato il primo scoglio dell’investitura non c’è nessuna norma che richieda che il governo abbia la maggioranza, perchè esiste solo la sfiducia costruttiva, la stessa che ha scalzato Rajoy quasi un anno fa. Per sostituire un governo, bisogna averne già un altro pronto. Pertanto,l’abitudine a dover negoziare provvedimento per provvedimento è abbastanza radicata nel panorama politico spagnolo. Vero è che c’è poca abitudine a costituire alleanze stabili che coinvolgano altri partiti: non ci sono mai stati governi a livello nazionale che non siano stati monocolore in Spagna”. Così, sebbene il PSOE in questa occasione abbia una “comoda” maggioranza, potrebbe decidere di formare una delle alleanze fino a qui presentate dando vita a una coabitazione con Podemos o con Ciudadanos e quindi a due governi di segno opposto.

Sull’altro versante dell’arco parlamentare, anche in Spagna l’estrema destra ha fatto registrare una preoccupante ascesa, dal momento che Vox è entrato per la prima volta in parlamento con 24 seggi. A questo proposito il giornalista spiega come qui i giudizi si dividano: “ci sono quelli che dicono d’altra parte non è andata così male, d’altra parte se ne prevedevano 30 o 40 tutto sommato è andata meglio che in Francia, in Germania, in Ungheria o in Italia; e poi ci sono quelli che, come me, sono comunque preoccupati dal fatto che il 10% degli elettori abbia deciso di sostenere un partito che è apertamente fascista, razzista, antifemminista e omofobo”. Questo dato dà da pensare, nonostante “il 10% siano pochi e, facendo attentamente i conti, gli spagnoli abbiano votato più a sinistra che a destra ancora una volta, dal momento che la somma di tutti i partiti di sinistra è sul 48% mentre la somma delle tre destre, PPE, Vox e Ciudadanos supera di poco il 43%”. In questa occasione peraltro il quadro politico è stato dipinto con maggiore chiarezza, dal momento che ha votato il 75,7% degli aventi diritto, registrando la più ampia affluenza degli ultimi quindici anni e la sesta migliore di sempre.

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Anna Uras e Elias Deliolanes