Lacrime di commozione ed euforia hanno accompagnato il raggiungimento dell’accordo contro il cambiamento climatico a Cop21, il vertice di Parigi sul clima, conclusosi sabato scorso. Ambientalisti e scienziati, però, ci dicono che non c’è molto da esultare. “Le emissioni cresceranno fino al 2030”.

Cop21: l’accordo sul clima a Parigi

La commozione del ministro francese e i titoloni della stampa. L’entusiasmo attorno all’accordo raggiunto a Cop21, il vertice di Parigi sul clima, conclusosi sabato scorso, non è mancato.
In molti hanno sottolineato come ben 195 Paesi si sono assunti l’impegno di contrastare il cambiamento climatico e contenere il surriscaldamento globale entro 1,5°, ma pochissimi, quasi nessuno, si sono presi la briga di andare a verificare se gli strumenti pensati saranno sufficienti ed efficaci per raggiungere l’ambizioso obiettivo.

Dietro la patina e il clamore dato all’evento in quanto evento, però, ci sono esperti, scienziati ed attivisti che forniscono una versione differente e dicono senza giri di parole, che l’accordo di Parigi non arresterà il cambiamento climatico.
Le argomentazioni a sostegno di questa tesi sono tantissime, riassumibili nella mancanza della volontà politica di punire chi inquina, nei tempi troppo lunghi per mettere in atto azioni di contrasto al global warming, mentre gli effetti si vedono già oggi, nell’incertezza dell’impegno dei singoli e della verifica del rispetto dei patti.

Per quanto riguarda quest’ultimo tema, ad esempio, gli impegni specifici dei singoli Paesi vengono calcolatati complessivamente e, per gli esperti, sono completamente insufficienti a garantire il raggiungimento dell’obiettivo.
La revisione degli accordi si farà ogni 5 anni, con la prima verifica prevista solo nel 2023.
Non solo: mancano concreti strumenti di controllo e sanzione e, anche qualora tutti facessero la loro parte, la temperatura del pianeta salirebbe comunque sopra i 3°.
L’accordo non stabilisce nemmeno un picco delle emissioni – sottolinea ai nostri microni Luca Basile del Cidse (Cooperazione Internazionale per lo Sviluppo e la Solidarietà – per cui di fatto le emissioni continueranno a crescere fino al 2030“.

Alcuni prestigiosi studi di ricerca mondiali sottolineano inoltre che occorre ridurre di almeno il 70% le emissioni entro il 2050 sui livelli del 2010 e per farlo dovremmo iniziare a ridurre adesso, non nel 2020, quando entrerà in vigore l’accordo.
A questo allarme si oppone invece la mancanza di una volontà politica condivisa per agire drasticamente ed immediatamente, con misure con crete come l’abbandono delle fonti fossili, il taglio ai sussidi alle aziende inquinanti, la conversione del modello produttivo.

L’accordo, sottolineano gli scettici, non contiene alcun cenno alla necessità di tagliare i 5.300 miliardi di dollari l’anno di sussidi ai combustibili fossili. Settori inquinanti, come l’aviazione civile e il trasporto marittimo, che oggi rappresentano il 10% delle emissioni, sono fuori dall’accordo. Allo stesso modo gli accordi sul commercio, come il Ttip.
L’impegno per 100 miliardi l’anno da qui al 2020, cui i Paesi in via di sviluppo (India e Cina comprese) potranno contribuire su base volontaria, viene letto come un grande risultato dimenticandosi che dal 2010 – anno in cui il Fondo Verde per il Clima è stato istituito – solo il 10% delle promesse di erogazione sono state mantenute.

Detta in altre parole, i governi non hanno avuto il coraggio di inchiodare alle loro responsabilità le grandi imprese, e chiedere loro di pagare per i danni provocati e per finanziare una transizione climaticamente sostenibile.
Anche l’Italia, che attraverso il ministro all’Ambiente Gianluca Galletti, a parole dice di sposare l’obiettivo del 1,5°, in realtà impone dall’alto progetti estrattivi e infrastrutture energetiche lungo tutta la penisola, in terra e in mare.

“La cosa peggiore è che si grida al successo mentre la barca affondan – scrive la giornalista ambientale Marica Di Pierri – Mentre la scienza dice che non c’è più tempo, l’Oim avverte che a causa del clima ci saranno 250milioni di profughi ambientali nel 2050, il Fmi ribadisce che il cambiamento climatico è una minaccia anche per la stabilità dei mercati, i capi di Stato brindano per un accordo che entrerà in vigore non ora, ma tra 5 anni”.