Sensori, carrozzine, software ed altri ausili utilizzati dalle persone disabili realizzati con tecnologia “open”. Dall’esperienza di un maker ed una logopedista toscani, la riflessione su strumenti innovativi che si avvicinano di più alle esigenze delle persone, aumentano le conoscenze e fanno risparmiare la Sanità.

Open Source per il settore degli ausili

In epoca di spending review e di tagli alla Sanità, di parole come “efficientamento” e “ottimizzazione”, spesso utilizzati strumentalmente dalla politica per giustificare un disinvestimento, una prospettiva concreta ed interessante arriva dal mondo del software e dell’hardware libero.
Il settore è quello degli ausili, ovvero quegli strumenti che le aziende sanitarie forniscono ai disabili per superare i limiti dettati dalla propria condizione o patologia, che attualmente sono inseriti in un meccanismo di assegnazione macchinoso, rigido, spesso antieconomico e, in alcuni casi, anche poco efficace per le esigenze dell’utente, se consideriamo che molte malattie spesso evolvono e degenerano.

Ne abbiamo parlato questa mattina a Radio Città Fujiko con Paola Rovai, logopedista in formazione presso il master di “Comunicazione Aumentativa Alternativa” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, e Daniele D’Arrigo, logopedista e maker dell’Associazione Pianeta Elisa Onlus e della Fondazione Pas di Scandicci.
In particolare l’open source, l’open hardware e l’open design offrono possibilità nuove che non solo risultano spesso più economiche rispetto ai prodotti proprietari, ma risultano più efficaci anche dal punto di vista terapeutico, innescando dinamiche virtuose e generando conoscenza anche nel mondo clinico.

Sensori, mouse e tastiere ad hoc, carrozzine personalizzate, ma anche software che aiutano a comunicare chi ha deficit o difficoltà in questo settore, fino alla robotica. I campi di applicazione sono infiniti e, grazie alle nuove possibilità fornite, ad esempio, dalle stampanti 3D, si possono creare prodotti su misura delle persone, ma soprattutto modificabili in corso d’opera e riproducibili grazie all’accesso ai progetti liberi.
“Oltre ai costi – spiega D’Arrigo – che in molte categorie d’ausilio sono sensibilmente più bassi, nel momento in cui rendi aperto un progetto, crei una collaborazione con tante altre forze sociali che rendono l’evoluzione dell’ausilio molto più rapida e, al tempo stesso, aumentano il processo di inclusione dell’utente, che non si trova più ad essere un semplice consumatore soddisfatto, ma può collaborare allo sviluppo del prodotto stesso, ottenendo già un primo risultato terapeutico”.

Non solo: gli ausili creati con un accesso libero ai progetti possono essere modificati in corso d’opera. “Mentre un prodotto derivante da un progetto chiuso e proprietario – osserva Rovai – è stabile quindi, in patologie che evolvono e spesso degenerano, rischia di diventare obsoleto. Al contrario, un prodotto ‘open’ può essere continuamente riadattato e ritarato sulla persona”.
Quest’ultimo aspetto incide anche sui costi. “Se io posso modificare una carrozzina o un sensore – spiega D’Arrigo – posso riciclarlo e darlo ad un altro utente o modificarlo adattandolo alle nuove esigenze senza la necessità di fornire un altro ausilio, aspetto importante nell’ottica del contenimento dei costi”.

Un ultimo aspetto interessante riguarda poi il know how ed un circuito virtuoso che si potrebbe creare tra maker e terapisti. Se è vero che l’estrema personalizzazione degli ausili non è riproducibile in meccanismi industriali su vasta scala, un approccio artigianale può però creare una sinergia tra produttori e sistema sanitario. “Sarebbe interessante – afferma D’Arrigo – se le aziende sanitarie iniziassero ad inglobare questo sapere tecnologico, in modo da poter sfruttare tutto il loro know how clinico unendolo a quello tecnologico”. Questo potrebbe rappresentare anche un’opportunità per l’economia territoriale, creando lavoro per artigiani della zona.