Da migranti che hanno contribuito a salvare dall’abbandono alcuni territori montuosi alle ipotesi di inserire in territori montani i rifugiati. La rivista “Dislivelli” ha fatto un focus sul tema della presenza straniera su Alpi ed Appennini. 850mila i migranti che popolano le montagne italiane

Montanari per forza: la rivista Dislivelli parla di Migranti e Appennini

“Montanari per forza”. È questo il titolo dell’inchiesta contenuta nell’ultimo numero della rivista “Dislivelli “, che mette insieme ricercatori e giornalisti che si occupano di montagna.
Un focus su un tema tanto interessante quanto poco conosciuto: la presenza di migranti nelle comunità montane di Alpi ed Appennini. Da persone che da ormai 10 anni abitano in quei territori, rappresentando un freno ed un antidoto allo spopolamento della montagna, fino al dibattito sulla possibilità di fare dell’emergenza profughi un’opportunità per zone un po’ dimenticate dagli italiani.

“Occorre distinguere tra le comunità straniere che si sono insediate diversi anni fa – spiega Maurizio Dematteis, direttore della rivista – che potremmo definire ‘nuovi montanari’ e, invece, i ‘montanari per forza’, rappresentati da persone che giungono nel nostro Paese scappando da guerre e miseria”.
Complessivamente, le persone straniere che popolano le montagne italiane sono ben 850mila, un numero che in molti casi ha permesso di prevenire l’abbandono di interi Paesi e la cancellazione di alcuni servizi a rischio, come quello scolastico.

Trasferitisi in Comuni montani dove insistono alcuni servizi di base, molti stranieri prediligono le alte quote perché la vita costa meno e perché c’è bisogno di manodopera. In alcuni casi, come in quello della comunità cinese della Val Pellice o quella rumena nel Casentino, i migranti si sono insediati perché hanno ritrovato condizioni e mansioni simili a quelle dei Paesi di provenienza.
“La loro presenza è servita a rivitalizzare anche il commercio”, osserva Dematteis.

Un discorso diverso, invece, va fatto attorno alla figura dei rifugiati. L’inchiesta di “Dislivelli” ripercorre anche il dibattito sull’opportunità di collocare queste persone in luoghi di montagna.
Se da un lato ciò può rappresentare un rischio di emarginazione e generare tensioni in territori che già vivono diversi problemi, dall’altro – se accompagnati da percorsi di inserimento – la prospettiva potrebbe aprire occasioni nuove ad alcune di queste persone.
“Il nostro lavoro è stato proprio quello di esaminare casi in cui ciò ha funzionato e casi in cui non ha funzionato – spiega il direttore di “Dislivelli” – e in entrambe le situazioni quali sono le ragioni”.