Unindustria finanzierà il tempo pieno in cinque prime classi medie di quattro comuni del bolognese (Bentivoglio, Calderara, San Giorgio di Piano, San Lazzaro). Sul progetto, lanciato a maggio, è tornato ieri il numero uno di Unindustria Bologna Alberto Vacchi. Ed è già raffica di critiche. Esigenze pedagogiche non rispettate, dribblata la ratifica degli insegnanti. Gli alunni coinvolti dovranno per forza frequentare i corsi. In tempi di Buona Scuola, il privato (ri)entra a scuola. Il commento di Mirco Pieralisi.

Se i soldi pubblici non bastano a finanziare il tempo pieno, ci pensano gli industriali. Scenario prevedibile, diranno quanti si sono opposti all’approvazione della riforma della Buona Scuola. La conferma (non necessaria), arriva dal progetto di Unindustria che in quattro comuni del bolognese finanzierà il tempo pieno per cinque prime classi medie.
Il progetto, annunciato a maggio e ribadito ieri a Farete dal leader dell’Unione degli industriali di Bologna, Alberto Vacchi, non ha ci ha messo molto ad attirarsi le critiche di insegnanti e genitori.

Ne abbiamo parlato con Mirco Pieralisi, insegnante e consigliere comunale di Sel. “Invece di restituire quello che è stato tolto da parte dello Stato, intervengono soggetti privati, che finanziano direttamente il prolungamento dell’orario”, riflette Pieralisi. Fin qui tutto chiaro. “Il passaggio fondamentale”, riguardo all’intervento dei privati (che, nella fattispecie, si traduce con industriali) – “è che questi mettono denaro in relazione a un percorso didattico. L’intervento del privato, che ci mette i soldi, dà un indirizzo“. Detta diversamente, il privato sceglie gli educatori esterni e le materie di studio nelle ore di formazione che ha pagato. Quindi addio autonomia dell’istruzione, peraltro già fortemente indebolita da due decenni di riforme (rigorsamente ‘al ribasso’) della scuola.

C’è poi un rilievo strettamente pedagogico. “Non è pensabile – spiega ancora Pieralisi – Andare a differenziare così precocemente, in termini di offerta formativa, i percorsi didattici”. Gli alunni coinvolti nel progetto di Unindustria, hanno tra gli 11 e i 13 anni, età ben inferiore rispetto a quella che, nel nostro (ormai poco più che ipotetico) modello si presume essere quella idonea a intraprendere un indirizzo formativo definitivo.
Su questo piano, dice Pieralisi, un messaggio viene lanciato anche ai genitori: “La filosofia è quella di dire alle famiglie: se li indirizziamo precocemente verso un’educazione tecnica, vedrete che i vostri figli avranno più possibilità lavorative”. Insomma, con la fava del finanziamento privato si prendono due piccioni: si forma la manodopera da impegare (sfruttare?) in un prossimo futuro, e si tranquillizzano le famiglie che sia questa la scelta più giusta per i loro figli.

Come la Buona Scuola insegna, poi, ancora una volta il giudizio dei docenti viene saltato a pie’ pari. “Non a caso i collegi dei docenti nel loro insieme, non hanno approvato questo progetto, che è passato attraverso il consiglio d’istituto o decisioni comunque unilaterali, senza il vaglio di un’approfondita discussione”, rivela ancora Pieralisi.

Chi pensa che sia la Buona Scuola la responsabile di tutto, commette però qualche errore; “Questo modello – continua infatti Pieralisi –  Anticipava anche in termini di tempi la Buona Scuola (è stato annunciato a maggio, ndr). La filosofia l’ha esposta il presidente del Consiglio e l’impianto generale della legge 107 (quella della Buona Scuola, ndr): siccome non è prevedibile che il pubblico riesca a ottemperare al dettato costituzionale, allora è evidente che bisogna affidarsi all’intervento dei privati”. Come dire, tutto secondo copione.