20 anni fa, la milizia paramilitare Hutu Interahamwe cominciò il sistematico sterminio dei Tutsi ruandesi. In cento giorni, durante i quali il resto del mondo restò a guardare, furono trucidate tra 800 mila e 1 milione di persone a colpi di machete.

Il 6 aprile 1994 l’aereo del presidente ruandese Juvenal Habyarimana fu abbattuto da un missile. Il presidente, di etnia Hutu (un’invenzione dei colonizzatori belgi) aveva appena concluso i colloqui di pace con i ribelli Tutsi. Quando la carcassa dell’aereo, sul quale viaggiava anche il presidente del Burundi, fu ritrovata, la radio estremista Hutu RTLM, diede avvio al massacro, incitando a “tagliare gli alberi alti“, i Tutsi.

Il massacro iniziò subito, con i machete, e si protrasse al ritmo di 80 mila morti al giorno. Il contingente Onu, schierato a protezione degli accordi di pace appena firmati dal defunto Habyarimana, fu immediatamente ridotto da 2500 a 500 unità. I caschi blu non avevano il diritto d’intervenire e rimasero a guardare mentre si consumava una delle più grandi tragedie della storia. IL comandante del contingente, il maggiore canadese Romeo Dallaire, chiese più volte l’invio di soldati, ma gli fu sistematicamente negato. Il maggiore, in seguito, tentò il suicidio.

La colpa dei Tutsi, largamente minoritari in Ruanda, era quella di essere stati scelti dai colonizzatori belgi come élite di governo. Quando i belgi partirono, negli anni ’50, il potere passò alla maggioranza Hutu, che diede avvio a ciclici massacri. L’appartenenza all’etnia era segnata, con un timbro sui documenti dei cittadini ruandesi.

In quei 100 giorni si lasciò che il massacro si consumasse, fino a che i ribelli Tutsi riconquistarono il paese, guidati dall’attuale presidente Paul Kagame. Aspetto emblematico del criminale disinteresse occidentale per la carneficina che era in atto, furono le dichiarazioni dell’allora segretario di stato americano Madeleine Albright, che si rifiutò a più  riprese di parlare di genocidio (il che avrebbe imipegnato la Comunità Internazionale ad un intervento), limitandosi all’espressione più sfumata “episodi di genocidio”. Gli Stati Uniti, si diceva all’epoca, uscivano dal disastro dell’operazione Restore Hope in Somalia, e si tenevano alla larga dall’Africa.

Diversa la posizione della Francia, proprio in questi giorni accusata di aver partecipato e sostenuto il genocidio Tutsi. Il governo francese, che appoggiava il regime Hutu, avrebbe responsabilità gravissime nella fornitura di armi ai paramilitari Interahamwe, e secondo testimonianze appena rese note, i militari francesi avrebbero partecipato fattivamente ai posti di blocco nei quali gli Hutu individuavano i cittadini Tutsi. A questa accusa, gravissima, il governo francese ha risposto con la mancata partecipazione alle commemorazioni del genocidio, che avranno inizio oggi.

Nell’attesa che gli archivi francesi siano aperti, cosa che potrebbe anche non accadere mai, resta il fatto che nessuna delle potenze occidentali, mosse un dito per fermare il massacro. In cento giorni l’85% dei Tutsi, 1 milione di persone secondo le stime più drammatiche, fu massacrato davanti al mondo.