Il bracciante straniero ucciso ieri dal colpo di pistola di un carabiniere nella tendopoli di San Ferdinando a Rosarno è solo la punta acuta di un dramma che va avanti con il placet dello Stato. Nonostante la rivolta del 2010, i braccianti vengono costretti a condizioni disumane e continuano sfruttamento e caporalato.

Nella tarda mattinata di ieri un bracciante straniero di 26 anni è morto a Rosarno per il colpo di pistola di un carabiniere, intervenuto per sedare la rissa nella tendopoli di San Ferdinando, dove è costretta a vivere in condizioni precarie la manodopera migrante che lavora nei campi della Piana di Gioia Tauro.
Secondo la ricostruzione delle forze dell’ordine, il bracciante avrebbe aggredito i militari con un coltello, ferendone uno al volto, e un carabiniere avrebbe reagito sparando un colpo che si è rivelato mortale.

I volontari che intervengono nella tendopoli ieri pomeriggio hanno raccolto, insieme a un legale, alcune testimonianze degli altri migranti presenti durante i fatti e hanno ricostruito una dinamica un po’ differente.
La vittima, infatti, avrebbe sì brandito un coltello, ma durante la rissa che i carabinieri sono intervenuti per sedare. Successivamente, il bracciante avrebbe rifiutato di farsi ammanettare e ne sarebbe nata una collutazione fino al drammatico epilogo.
La vittima, inoltre, non sarebbe stata in preda a sostanze stupefacenti, come alcune ricostruzioni della stampa riportano.

Al di là del fatto di cronaca nera, però, le condizioni nella tendopoli di San Ferdinando di Rosarno restano disumane. A nulla sembra essere servita la rivolta dei braccianti stranieri nei 2010, che aveva attirato i riflettori dei mass media italiani e mondiali e fatto prendere impegni a diversi esponenti politici e istituzionali.
“La tendopoli è formalmente gestita dal Ministero degli Interni – spiega ai nostri microfoni Giulia Anita Bari di Medici per i Diritti Umani, organizzazione che opera nel campo – e accanto alle tende della protezione civile sono sorte baracche fragili e precarie”.

Energia elettrica intermittente, tende sovraccariche di persone, servizi igienici insufficienti, docce scaldate attraverso cisterne in lamiera, rifiuti dovuti alla scarsità della raccolta, cucine inesistenti o improvvisate. Sono queste le condizioni in cui sono costretti a vivere i braccianti agricoli, che in inverno, durante la raccolta delle arance, raggiungono il migliaio di persone.
“Ora la Prefettura ha firmato un protocollo per lo smantellamento della tendopoli – continua l’operatice – ma ne verrà costruita un’altra. È inaccettabile che non si trovi una soluzione abitativa per persone che, nel 90% dei casi, non sono più migranti, ma sono lavoratori con regolare permesso di soggiorno”.

A non cambiare da almeno sei anni, però, sono anche le dinamiche di sfruttamento e caporalato che vennero denunciate nel 2010. “Continua il lavoro nero o il lavoro grigio perché non ci sono sufficienti controlli nelle aziende – riporta Bari – e perché non c’è un sistema di trasporto pubblico che possa arginare i caporali. Dovrebbe essere lo Stato a gestire tutto il sistema e non lasciare a privati, in questo caso ai caporali, la gestione del lavoro e dei trasporti”.