Granma Metales de Cuba, l’ultimo lavoro dei Rimini Protokoll, guidati dal regista Stefan Kaegi, è uno spettacolo che attinge dalle metodologie del documentario, utilizza testimonianze dirette, filmati d’epoca, fotografie, animazione passo uno, aneddoti, accanto ad analisi storiche, per raccontare la storia di Cuba dalla fine dell’800 ad oggi.

Rimini Protokoll: la nostra recensione

La drammaturgia di questo progetto teatrale non cede mai all’esaltazione della rivoluzione nè, al contrario alla sua denigrazione, con piglio critico ed ironico, è attenta a mettere in risalto luci e ombre delle vicende umane consumatesi sull’isola, utilizzando quattro attori/ non attori, che impersonano loro stessi, come testimoni della realtà odierna del Paese e come depositari delle memorie dei propri nonni: uomini e donne che hanno assistito alla rivoluzione, vivendola ciascuno da diverse posizioni e con differenti approcci.

Come in altri lavori precedenti, i Rimini Protokoll creano spettacoli che uniscono vari mezzi comunicativi per affrontare un tema sociale partendo da ricerche su fonti d’archivio e da interviste sul campo, materiali utilizzati per narrare il presente filtrandolo attraverso l’analisi storica.

Viene evocato un tempo lontano, prima delle famose vicende di Batista, di Fidel e del Che, un tempo in cui Guantanamo era sinonimo di libertà per chi scappava dalla Giamaica dove era stato tratto in schiavitù dall’Africa. Si ripercorrono le vicende di generazioni e generazioni di cubani scrivendole sulla scena come se potessero essere state generate da una macchina per cucire storie intessedo legami tra nipoti e nonni, tra la grande Storia e la quotidiana lotta per la vita.

La prima nipote a cucire la propria vicenda familiare è Milagro, una studentessa di storia vissuta sempre con la nonna sarta che le ha trasmesso i valori fondanti della rivoluzione: la giustizia sociale. Milagro deve alla rivoluzione la sua educazione universitaria ottenuta gratuitamente e il suo lavoro da Docente che le consente di avere uno stipendio mensile pari a 16 dollari. Le contraddizioni della rivoluzione sono manifeste in lei e forse proprio per questo, con spitito critico, le indaga al microscopio.

Danièl, giovane matematico, ha un nonno ingombrante, uno dei compagni di Fidel Castro sul Granma: la nave che egli stesso procurò ai rivoluzionari in Messico per arrivare a Cuba. I racconti del nonno e la sua ammirazione per il patriota Josè Martì hanno cementato in lui la necessità di praticare la parola per dire la verità anzichè per nasconderla. Di fronte all’analisi del discorsi pubblici del nonno Ministro, Danièl è capace di orgoglio per il rivoluzionario che è stato, e di biasimo per il conformista diventato negli anni ’80, ormai incapace di slanci verso nuovi cambiamenti.

Diana è una musicista, trombonista, ha ereditato il talento dal nonno, musicista espatriato in Florida prima della rivoluzione. Quando la rivoluzione ha trionfato a Cuba, il nonno ha festeggiato, ma non è mai tornato in patria. Fedele alla rivoluzione, ha tuttavia tradito ripetutamente la moglie, concerto dopo concerto, finendo da solo, senza quella moglie che, intervistata, avrebbe preferito che la nipote tacesse su quell’aspetto del marito che voleva rimanesse privato.

Christiàn ha il nonno pilota, militare durante la guerra in Angola, assistette poi alla caduta rovinosa di un elicottero con a bordo Fidel, segreto custodito fino al momento in cui l’insistete nipote è riuscito a estorcergli l’aneddoto portandolo nella performance. Il nonno di Christiàn fu mandato dal governo cubano in Russia per imparare a sparare un modernissimo modello di missile che non è mai arrivato poi a Cuba, mentre dalla Russia arrivarono solo ventilatori, radio, tv e altri elettrodomestici a seguito dell’embargo statunitense.

La compagnia si interroga sul significato della giustizia sociale, del socialismo, della fedeltà di Fidel all’Unione Sovietica anche quando, nel 68 in Cecoslovacchia, la libertà sembrava piuttosto calpestata dai carrarmati anzichè offerta in dono.

Non mancano critiche al sistema intensivo di sfruttamento del suolo per aumentare la produzione di canna da zucchero spremendo al massimo terra e contadini e dei progetti di espansione edilizia basati sul concetto delle microbrigate, che prevedeva che ognuno si costruisse la propria casa nello stile dei prefabbricati dell’Europa dell’Est, con evidenti risultati di mancanza di reale pianificazione e allontanamento dalla tradizione architettonica locale.

Gli anni ’80 sono velocemente descritti come anni di corruzione  e malversazioni politiche durante i quali i rivoluzionari come il nonno di Danièl sono diventati stanchi conformisti. Gli anni ’90 sono dipinti come anni di crisi, di blackout energetici e di estremo razionamento dei generi alimentari distribuiti con le famose tessere, anni in cui i cubani che riescono, scappano da Cuba, incentivati anche dalla politica americana di accoglienza in funzione anticastrista. Infine il presente viene sfiorato come tempo dell’imbarbarimento, nel quale l’apertura di Obama a Cuba ha portato fino ad ora solo il set di Fast and Furious sul Malecón di l’Avana.

Lo spettacolo si chiude con delle domande portate da tre dei quattro protagonisti, domande che chiudono in sé delle aspettative, dei desideri: ci sarà davvero un giorno una società di uguali a Cuba, magari grazie all’intelligenza artificiale? Ci saranno nuovi diritti per le nuove generazioni?

Diana tace, non ha un aspettativa, o forse si fa portavoce dell’incertezza del presente, dell’impossibilità di intravvedere una direzione chiara della declinazione 3.0 degli ideali dei loro nonni.

Granma Metales de Cuba è uno spettacolo interessante per la sua anomala e pluricodica composizione, lo spettatore è chiamato ad essere partecipe delle riflessioni portate dalla compagnia e anche ad essere concretamente attore in essa, attraverso molteplici lanci dalla platea di palle da baseball colpite poi da Christiàn con una bottiglia di plastica. Ogni lancio viene effettuato da spettatori che si trovano in posizioni di analogia con la situazione narrata in quel momento, ad esempio la ricerca di una casa a prezzi accessibili, o per la condizione di fuoriusciti da Paesi dell’Est Europa.

Uscendo dal teatro sembra di aver assistito al farsi di un documetario, ma anche alla narrazione di vicende familiari intrecciate profondamente con i destini di una nazione. E’ uno spettacolo didattico, storico, anedottico, musicale, è tante cose insieme e pure ancora teatro con corpi che agiscono in scena e voci che raccontano storie.

Per chi si fosse perso quest’evento bolognese, l’unica altra occasione di vedere lo spettacolo sarà a Prato a settembre e intanto è possibile rintracciare sul web brevi promo di questo e di altre loro produzioni oltre ad interviste al fondatore dei Rimini Protokoll Stefan Kaegi.