Fermo in Senato il ddl 813 stabilisce la normativa per la revisione costituzionale, per avviare le riforme istiuzionali. Forma di Governo, di Stato, legge elettorale. Dopo lo stop di ieri ai lavori richiesto dal Pdl, riprende questa mattina la discussione.

Riforma Costituzionale: blocco in Senato

Una piccola commissione bicamerale di 42 senatori e deputati (il “comitato”) che in sei mesi dovrà riscrivere la Costituzione, dal bicameralismo alla forma di Stato, dalla forma di Governo alla  legge elettorale. Se arrivasse il sì di Camera e Senato prima della pausa estiva i lavori per le modifiche istituzionali potrebbero procedere entro la fine dell’anno.

L’esecutivo vuole procedere rapidamente alla riforma istituzionale che modificherebbe la Costituzione. Almeno questo emergeva dalle parole del ministro Quagliariello. Ieri è intanto arrivata la proposta di Stop ai lavori Parlamentari da parte del Pdl, a causa del processo Mediaset, proprio a pochi giorni dal voto sull’inelegibilità del suo leader, Silvio Berlusconi. Ma già questa mattina è stato ripreso in Senanto l’esame del ddl.

Fino a quel momento il Governo si sta facendo accompagnare dal lavoro di dai “saggi” (anche in questo caso 42, 35 effettivi e 7 redigenti) che ogni lunedì discutono di riforme, gettando le basi per una relazione finale che orienterà le iniziative di legge costituzionale dell’esecutivo.

La problematica più discussa è la forma di Governo: paventata spesso la soluzione francese del semipresidenzialismo, anche se su questo ancora non sembra esserci chi sostiene il modello parlamentare. “Il modello semipresidenziale con l’elezione diretta del capo dello Stato e il modello parlamentare hanno di mira di rinsaldare il processo di Governo per dare capacità decisionale e riportarla dentro al Parlamento, per evitare di marginalizzarlo e di bilanciare il potere dell’esecutivo” ci dice Andrea Morrone, professore di Diritto Costituzionale all’Università di Bologna.

Secondo Morrone bisogna interrogarsi sulle urgenze del nostro sistema costituzionale: “Abbiamo avuto sempre un sistema incentrato sui partiti politici che oggi non ci sono più perché all’oggi abbiamo movimenti basati sull’uso della rete, partiti aziendali e personali. In più il governo doveva essere l’espressione del parlamento senza una capacità decisionale, cosa che negli ultimi anni non è avvenuta. Venuti meno i partiti, lo spirito costituente quindi bisogna chiedersi cosa resta del modello parlamentare e partire da questo per le riforme”.

Una riforma che deve anche partire dal presente e dal punto in cui la politica in Italia si trova oggi. Nuovi partiti, nuovi movimenti sono anche stati espressione di una crisi della rappresentanza che con la crisi economica è diventata più profonda, allontanando società civile e istituzioni. I partiti non so più il canale di connessione tra sovranità popolare e istituzioni, come vorrebbe la nostra carta costituzionale. “Questa distanza è incommensurabile ma per ridurla non è necessaria una riforma costituzionale. Bisogna rimettere in moto processi politici dal basso – conclude Morrone –  Non dipende dai rappresentanti della politica nazionale, se ci aspettiamo un’iniziativa dall’alto siamo spacciati. Bisogna mettere in modo forze sociali per dar vita a nuove forma partitiche e rientrare nelle distanze. E’ il Paese che deve entrare nelle istituzioni, non è pensabile che le istituzioni si avvicinino al Paese”