L’iniziativa, promossa dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, si batte a sostegno della proposta di legge Bini, che prevede l’introduzione del reato e la punibilità della domanda per stroncare l’offerta. Ne parla il referente nazionale della campagna Giorgio Malaspina.

Questo è il mio corpo” è il nome della campagna lanciata dalla Comunità Papa Giovanni XXIII contro lo sfruttamento della prostituzione e per la liberazione delle vittime di tratta.
Il progetto è stato avviato il 13 luglio di quest’anno, in concomitanza con il deposito alla Camera della proposta di legge “Modifica all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75″, riguardante le sanzioni da applicare a chi beneficia delle prestazioni sessuali di donne costrette alla prostituzione.
La proposta ha come primo firmatario l’onorevole Caterina Bini del Partito Democratico ed è stata sottoscritta da altri 31 deputati. Al Senato, il testo della proposta è stato presentato dall’onorevole Francesca Puglisi.

L’obiettivo principale, nelle intenzioni dei promotori, è quello di colpire la domanda onde ridurre significativamente l’offerta di un mercato che, con un giro d’affari di 90 milioni di euro al mese, rappresenta la terza industria illegale per fatturato dopo il traffico di droga e quello d’armi.
L’associazione Giovanni XXIII stima che, in Italia, la prostituzione sia un fenomeno che riguarda tra le 75mila e le 120mila donne, molte delle quali minorenni e provenienti da Paesi in via di sviluppo.

La campagna “Questo è il mio corpo” e la proposta di legge Bini perseguono il medesimo proposito: la punibilità del cliente. Come spiega il referente nazionale della campagna, Giorgio Malaspina, l’intento è quello di introdurre anche in Italia il cosiddetto “modello nordico”, quello che prevede la perseguibilità del cliente, ritenuto sfruttatore tanto quanto chi gestisce il racket.
L’associazione, quindi, è contraria ad una regolamentazione della questione tramite legalizzazione, e sostiene che un discorso di libertà sessuale non sussista nel contesto di un fenomeno sempre e comunque abusante, quale è la prostituzione.

Diverse legislazioni europee fanno fronte ai fenomeni di sfruttamento sessuale promuovendo la linea della sanzione nei confronti di chi usufruisce del servizio: l’ultimo caso è quello dell’aprile scorso in Francia, in cui, dopo un iniziale progetto di legge che prevedesse la legalizzazione, c’è stato il dietrofront che ha allineato il quadro legislativo del Paese a quello di realtà scandinave quali Norvegia, Svezia e Islanda.
Lo sfruttamento della prostituzione, oggi, riguarda una serie di problematiche disparate che non restano circoscritte alla mercificazione del corpo, ma abbracciano i drammi delle tratte di esseri umani.

In Italia, il fenomeno fu contrastato istituzionalmente dalla Legge Merlin del 1958 sulla chiusura delle case di tolleranza, ma ha conosciuto una crescita esponenziale dagli anni ’90 ad oggi, in conseguenza dell’incremento dei flussi migratori dall’Europa dell’Est e dall’Africa nera, regioni che rappresentano il principale bacino di provenienza delle donne che offrono prestazioni sessuali nel nostro Paese.

Quello della prostituzione, secondo Malaspina, è un problema di tratta, ma è anche una questione di parità di genere. “Non ci sarà mai uguaglianza tra uomo e donna – sostiene il portavoce della campagna – fintanto che in Italia 120mila donne sono costrette con la forza, l’inganno, l’imbroglio e la violenza a prostituirsi. La violenza viene dal racket che controlla il mercato, ma anche dai i clienti, perché, come dice Huschke Mau, la paladina della lotta contro la legalizzazione della prostituzione in Germania, il cliente non acquista una prestazione sessuale, ma acquista il potere di dominare la donna”.

Cristiano Capuano