Il 31 marzo chiudono gli ospedali psichiatrici giudiziari. Gli internati socialmente più pericolosi verranno trasferiti nelle Rems, strutture alternative di esecuzione della misura di sicurezza sanitaria. Si chiude così una pagina indegna per aprire le porte a una nuova fase, tutta piena di incertezze. Per domani, intanto, a Reggio Emilia è prevista una manifestazione per chiedere la chiusura definitiva degli opg. Le parole di Pippo Insana e di due internati dell’opg di Barcellona Pozzo di Gotto.

Il 31 marzo chiudono gli opg. Dopo le proroghe del 2013 e del 2014, Le strutture che hanno sostituito i manicomi criminali – e di cui hanno costituito la naturale prosecuzione sotto altro nome – lasceranno il posto alle Rems, le strutture alternative che accoglieranno i destinatari di si misure di sicurezza sanitaria.

Il fatto è che, se la pagina che si volta è nota, quello che aspetta gli internati degli opg è ancora tutto da capire. L’unica certezza , che è poi anche la vera novità, è che “non verranno nuovi soggetti nell’opg, ma andranno nelle Rems”, come spiega padre Pippo Insana, membro del Comitato Stop Opgpresidente dell’associazione di volontariato Casa di Solidarietà e Accoglienza, da sempre impegnato in progetti al fianco dei detenuti dell’opg di Barcellona Pozzo di Gotto, il più grande d’Europa, in provincia di Messina.

Se, però, gli opg – per come li abbiamo conosciuti – non esisteranno più, appare già chiaro che la distribuzione delle Rems non sarà omogenea sul territorio nazionale e registrerà assenze pesanti in alcune regioni. “Calabria e Puglia non hanno pronte le Rems e hanno alcuni soggetti nell’opg di Barcellona. Veneto, Piemonte e Liguria non hanno lavorato, per cui il ministero della Sanità provvederà a mandare un commissario perchè si facciano carico delle loro persone internate nell’opg”, continua Pippo Insana.

All’orizzonte si profilano già i nervi scoperti del funzionamento delle Rems. Come spiega Insana, “non ci sembra opportuno, ci sembra senza senso che l’opg di Castiglione delle Stiviere [in provincia di Mantova, ndr] diventi il posto dove ci saranno diverse residenze della misura di sicurezza sia della Lombardia, che del Piemonte, che di qualche altra regione. Questa ci sembra che sia cambiare tutto per non cambiare niente”.

Sulle Rems, quindi, le valutazioni restano ancora ambigue: “abbiamo le nostre perplessità perchè i dipartimenti di salute mentale potevano farsi carico di molte più persone, ma restano comunque un male minore rispetto all’opg, perchè devono garantire degli standard sia a livello di personale sia a livello di vita, quindi si dovrebbe attivare una vera riabilitazione che non poteva avvenire e non avveniva nell’opg”, conclude Insana.

A pesare, come un macigno, sulla coscienza collettiva e sull’approccio che tradizionalmente ha legato psichiatria e sicurezza, sono le storie e le voci degli internati. Quella di Gianni, ad esempio, finito in opg, a Barcellona, “senza processo e giudicato incapace di intendere e volere”, che racconta come “in opg si vive in condizioni pietose, lì è una vita vissuta proprio male male, è un lager”.

O quella di Giuseppe, che in opg si è ritrovato per una violazione di domicilio, e che si vede prorogare di sei mesi in sei mesi la permanenza in casa di cura, nonostante la buona condotta e la fine della pena. “Finisco questi sei mesi e me ne daranno altri sei. Non finisce mai ‘sta cosa, capito?”. Capito.