Negli anni ’70 le dittature militari latinoamericane stipularono un patto di cooperazione tra i rispettivi servizi segreti, grazie al quale fecero scomparire centinaia di dissidenti. Gli stati firmatari erano 7, pare con la benedizione degli USA. Oggi a Roma si apre il processo per la scomparsa di 23 cittadini italiani.

Tra il 1973 e il 1978, 23 cittadini italiani scomparvero per mano dei servizi segreti sudamericani aderenti al cosiddetto PIano Condor, il patto di cooperazione stipulato tra i servizi segreti di 7 paesi del Latinoamerica, che permetteva ai membri dell’intelligence di uno stato di ricercare, arrestare, torturare e far sparire dissisdenti, anche in territorio di un altro stato aderente. Furono centinaia i desaparecidos prodotti dal piano.

L’esistenza del piano fu provata, molti anni dopo, da un giudice che ritrovò tutti i documenti che ne  attestavano la costituzione e l’implementazione. A distanza di anni sono molti gli elementi che fanno pensare che ci fosse una regia, più o meno occulta, degli Stati Uniti dietro quel “laboratorio sudamericano” fatto di negazione di ogni diritto democratico e di crescita economica, soprattutto per il ceto medio, veicolato dalle privatizzazioni selvagge. E’ innegabile che lo stesso sistema, solo più mordibo sul piano della repressione, si ripresentò in Usa e Gran Bretagna con le presidenze di Reagan e Tatcher. E’ inoltre supportato da numerosi elementi il fatto che in quegli anni si creò una vera e propria internazionale nera che vide, nel nostro paese, esponenti del movimento neofascista Avanguardia Nazionale, collaborare con i cacciatori di teste sudamericani.

Quello che si apre oggi è dunque un processo fondamentale per la memoria, sempre troppo labile, dell’opinione pubblica, che finirà in un giudizio, importante prima di tutto dal punto di vista storico. Gli imputati ci sono, sono 21 e facevano parte dei servizi segreti o delle giunte militari di Perù, Bolivia, Cile e Uruguay, ma difficilmente, visti i tempi della giustizia, sconteranno un’ulteriore pena in prigione.

Intanto proprio ieri, per restare al tema delll’eversione nera che ha insanguinato il nostro paese tra il ’69 e l’84, il giudice per le indagini preliminari di Bologna ha archiviato la cosiddetta “pista palestinese” per la strage del due agosto alla stazione di Bologna. “Una grande bufala” come l’ha definita Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione famigliari delle vittime.