Dopo i tempestivi interventi di Veronesi e Cattaneo a favore degli Ogm, si riapre nel nostro paese la discussione sugli organismi geneticamente modificati. Tra la speranza di risolvere il problema della fame nel mondo e l’assurdo brevetto, l’Italia resta ancora Ogm-free.

Puntuali come le feste comandate, arrivano, in questi giorni, le prese di posizione a favore degli Ogm. Due scienziati di fama mondiale come Umberto Veronesi ed Elena Cattaneo hanno riaperto un dibattito che sembrava ormai superato. Il succo degli interventi dei due luminari riguarda il fatto che la questione Ogm sarebbe stata archiviata senza un serio confronto sui pro e i contro dell’utilizzo degli organismi geneticamente modificati, a causa di posizioni ideologiche e senza basi scientifiche. Senza risparmiare attacchi a Vandana Shiva, fiera nemica degli Ogm e rappresentante di quella generazione di indiani truffata dalla “rivoluzione verde”, Veronesi e Cattaneo sostengono la bontà degli Ogm e ne prospettano l’utilizzo  per risolvere la fame del mondo.

Senza entrare nel merito di un argomento non ancora troppo esplorato e dunque giustamente vincolato al “principio di precauzione” (almeno per ora), stupisce come si ignorino, in un discorso scientifico, taluni elementi tipici di quella scienza che è l’economia. Un prodotto brevettato, e nella maggior parte dei casi le colture Ogm non hanno scopo alimentare,  difficilmente può risolvere un problema che è connaturato alla povertà come la fame, perché i poveri non hanno di che pagare, altrimenti non avrebbero il problema della fame. Si perdoni l’analisi troppo semplicistica, ma non siamo troppo lontani dal principio che regola il mercato: la logica del profitto.

Basta ascoltare le parole di Federica Ferrario, responsabile agricoltura di GreenPeace, ospite ai nostri microfoni, per capire come in quei Paesi dove sono stati implementate le colture geneticamente modificate, il problema della fame non è stato assolutamente risolto. Al massimo, quello che é scomparso, come racconta Ferrario, é la libertà dei produttori, costretti a firmare contratti capestro, stando ai quali, non posso assolvere alla funzione primaria di salvaguardia della biodiversità che compete loro: la conservazione delle sementi. In più, spiega Ferrario, questi agricoltori 2.0 si trovano a coltivare piante che hanno nel loro stesso nome, l’indicazione della malattia che li colpirà e per combattere la quale, c’è soltanto un trattamento chimico possibile, prodotto dalla stessa azienda che possiede il brevetto delle sementi. Più che un contratto è un matrimonio, più che produttori si tratta di braccianti.

Ferrario va ancora oltre nel valutare gli interventi dei due scienziati, e non usa giochi di parole. La responsabile agricoltura di GreenPeace non crede troppo che la riapertura del dibattito dipenda dai brevetti prossimi a scadere, quanto dall’approssimarsi di un appuntamento fondamentale per le imprese multinazionali che si occupano di agroalimentare. L’appuntamento è l’Expo 2015 a Milano, che ha come slogan un suggestivo “Nutrire il Pianeta”. L’occasione è ghiotta e significherebbe riaprire un mercato, per il momento Ogm-free.  Non si tratta della sola Italia, ma di una buona porzione del continente europeo. A breve capiremo chi sarà a nutrire il pianeta.

Francesco Ditaranto