È andato in scena oggi il primo confronto al Ministero dello Sviluppo Economico tra azienda e sindacati sulla vertenza Whirlpool. Investimenti per 500 milioni in quattro anni ma anche 1350 esuberi, da fare dopo il 2018, e la chiusura di due stabilimenti e un centro ricerca. Per Zanocco (Fim-Cisl): “Non è un piano che si può accettare, si sta desertificando un territorio”.

Primo incontro sul piano industriale Whirlpool, la multinazionale che nei giorni scorsi ha annunciato 1350 esuberi e la chiusura di tre stabilimenti nel nostro paese. Quest’oggi al Ministero dello sviluppo economico (Mise) azienda e sindacati si sono seduti per la prima volta attorno a un tavolo per avviare un confronto senza pregiudiziali, come proposto dal ministro Federica Guidi. E nell’occasione l’azienda ha mostrato i punti principali del piano industriale: investimenti per 500 milioni in quattro anni ma anche 1350 esuberi, da fare dopo il 2018, e la chiusura di due stabilimenti e un centro ricerca. In una nota l’azienda ha fatto sapere che “questo è il miglior piano per garantire un futuro sostenibile e una presenza in Italia duratura nel tempo”.

“I 1350 esuberi sono i numeri che l’azienda ha dichiarato eccedenti rispetto al loro piano di riorganizzazione – spiega Michele Zanocco, della segreteria nazionale Fim-Cisl – Questi non sono la totalità, potrebbero essercene circa 400 in più. Riguardano i due siti che intende chiudere, gli 815 di Carinaro (Caserta) e i circa 110 di None (Piemonte). Mentre per gli altri l’azienda ritiene di poterli assorbire nel corso dei prossimi anni”.

I passi avanti, insomma, per il momento sembrano riguardare più la disponibilità alla trattativa che non concreti miglioramenti sul fronte della sostenibilità occupazionale: “L’elemento importante è quello di considerare questo un punto di partenza e che non sia immodificabile – mette in chiaro Zanocco – Abbiamo chiesto che ogni singolo punto, a partire dalla chiusura dei siti, siano messi in discussione senza pregiudiziali da parte dell’azienda”. E su questo l’azienda sembra disposta al confronto senza pregiudiziali. Dall’altra parte, tuttavia, “l’azienda ha aggiunto che considera questo il miglior piano disponibile. Non è un piano che si può accettare, a prescindere dai 500 milioni di investimenti – sottolinea il sindacalista – Desertificare un territorio, quello casertano, che ha il 67% di disoccupazione, significa destinare tutta la popolazione all’emigrazione o alla malavita organizzata. Le aziende che investono nel nostro paese e che attingono a risorse pubbliche non possono pensare di usare un paese come un bancomat. C’è una dimensione sociale che all’interno dei piani industriali deve avere lo stesso valore della parte finanziaria e della parte industriale stessa”, conclude Zanocco.