A Genova, nel luglio del 2001, non ci fu una scellerata gestione dell’ordine pubblico, ma un disegno assai dettagliato, agito per stroncare con violenza una realtà popolare che stava regalando agli oppressi la speranza tangibile che “un altro mondo è possibile”. Da allora non abbiamo visto un solo fenomeno sociale che sia stato lontanamente vicino a quell’idea.

Sono passati 15 anni. Un lasso di tempo troppo breve, per un evento, per finire sui libri di storia. Un tempo sufficiente, per chi vive il presente, per capire che quei fatti hanno segnato una rottura, un cambiamento radicale, un passaggio che – fra qualche anno, se non interverrà la censura ministeriale – sì, troveremo sui libri di storia.
Sono passati 15 anni da quando l’ultimo movimento globale, capace di mettere insieme realtà estremamente eterogenee, di far sedere in un’assemblea soggetti che non si erano mai parlati e che si erano assai spesso combattuti, di far riflettere sulle proprie scelte e sui processi politici mondiali persone che restavano in casa a guardare la tv, fu represso nel sangue.

La repressione per le strade, con i pestaggi tanto di tute bianche quanto di anziane pacifiste, la macelleria messicana delle scuole Diaz, le torture di Bolzaneto, lo sgombero di Radio Gap e, soprattutto, l’uccisione di Carlo Giuliani. Tutto questo orrore, e molto altro ancora, in una sola tre giorni che ricordiamo come “G8 di Genova 2001”.
15 anni dopo possiamo dire che in quei giorni, fra le strade del capoluogo ligure, non ci fu solo una scellerata gestione dell’ordine pubblico, ma un disegno assai dettagliato agito per stroncare con violenza una realtà popolare, nel senso più pieno della parola, che da Seattle a Napoli, passando per Praga, stava regalando agli oppressi la speranza tangibile che “un altro mondo è possibile”.

Negli anni successivi non abbiamo visto o partecipato ad un solo fenomeno sociale che sia stato lontanamente vicino a quell’idea. Dai Girotondi al Popolo Viola, dagli Indignados ad Occupy Wall Street, le manifestazioni di processi sociali dal basso cui abbiamo assistito non hanno saputo creare quel collante, quella sintesi politico-culturale, quel protagonismo nelle persone che innescassero un’analoga energia vitale.

Ci hanno terrorizzati e divisi, ci hanno rinchiusi nelle case a suon di ordinanze, telecamere, politiche securitarie, spauracchi terroristici, idee di falso benessere e, per contro, crisi economiche. Ci hanno inoculato la diffidenza verso il nostro prossimo. Non ci troviamo più per parlare, per confrontarci e discutere, per immaginare una realtà meno gretta ed ingiusta di quella in cui viviamo. La frammentazione sociale è la loro forza.

A Genova, nel luglio del 2001, hanno sradicato l’ultimo fiore della speranza e dell’impegno e ci hanno consegnato un deserto nel quale, ancora oggi, continuiamo ad annaspare.