Obama annuncia all’Onu l’impegno di 50 Stati per l’accoglienza di 360mila profughi, cioè un sesto da quanto chiesto da Ban Ki Moon. In Italia, intanto, i migranti in transito che sostano a Roma vengono abbandonati per strada dalle istituzioni. E la Rai manda in onda la fiction su Lampedusa.

La montagna ha partorito un topolino. L’assemblea dell’Onu sui rifugiati ha prodotto ben poco rispetto alle dimensioni del problema. Il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato l’impegno di 50 Stati per l’accoglienza di 360mila profughi, poco più di 7mila a testa.
Una cifra ben diversa – appena un sesto – da quella che aveva prospettato il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, che nel suo Global Act prevedeva l’accoglienza del 10% all’anno di profughi, pari a 2,1 milioni.

La mediazione al ribasso si è prodotta, come ha raccontato sulle nostre frequenze Amnesty International, per il vero e proprio boicottaggio messo in atto dagli Stati membri, più interessati a tutelare i propri egoistici interessi nazionali ed elettorali che i diritti umani di chi scappa da guerra e miseria.
È da verificare, inoltre, se all’annuncio di Obama seguiranno i fatti. Come spesso accade, gli impegni presi in vertici di questo tipo risultano non vincolanti per gli Stati, lasciati liberi di fare scelte facoltative. Lo stesso vale per l’aumento, annunciato sempre ieri, di tre miliardi di dollari di finanziamenti umanitari per il prossimo anno, oltre ad impegni per mantenere i finanziamenti negli anni successivi.

Le promesse dei leader mondiali, però, si scontrano con la realtà dei fatti. Venendo a casa nostra, è ormai vergognosa la situazione che si è prodotta a Roma per quanto riguarda i migranti in transito. Si tratta di centinaia di uomini, donne e bambini, sbarcati da poco, che non sono inseriti nel circuito dell’accoglienza perché non vogliono fare richiesta di asilo in Italia.
Persone lasciate per strada anche dalla giunta di Virginia Raggi, che appena eletta aveva invece promesso una soluzione nel giro di una o due settimane.

Le persone sono raccolte attorno all’ex “Baobab“, il centro di accoglienza di via Cupa nella capitale, che è stato sgomberato lo scorso dicembre. La particolarità del centro risiedeva nel fatto che era autogestito da associazioni e privati cittadini, in una relazione diretta con i migranti in transito. Una formula alternativa nel centro del potere italiano che non è piaciuta a nessuno dei governi che si sono avvicendati negli ultimi mesi a Roma: non piaceva al sindaco Ignazio Marino, non piaceva alla gestione commisariale, sembra non piacere nemmeno alla giunta Raggi. Al punto che ora quelle persone dormono per strada in via Cupa, senza i minimi strumenti igienico-sanitari e senza la possibilità, negata dal Comune, di poter almeno montare una tenda.

“Queste persone non hanno altro posto dove andare”, racconta ai nostri microfoni Alberto Barbieri di Medici per i Diritti Umani (Medu), che da sempre presta assistenza sanitaria in quel luogo.
Quello che l’associazione e gli altri attivisti chiedono è che venga dato vita ad un centro per migranti in transito, così come avviene a Milano e avverrà presto in un’altra capitale europea, Parigi. Le necessità sono tre: accoglienza, assistenza sanitaria e informazioni e orientamento legale per le normative.
Richieste minime per persone che, sottolinea Medu, presentano grande fragilità. “Il 90% delle persone che abbiamo incontrato – spiega Barbieri – hanno subito violenze e torture, spesso in Libia, ed hanno affrontato un viaggio molto difficile”.

L’Italia, però, è anche quel Paese dove tutto viene messo in fiction. La Rai, ieri sera, ha mandato in onda la prima puntata di “Lampedusa – Dall’orizzonte in poi”, una mini serie sul dramma dei migranti e sull’isola dove arriva il maggior numero di sbarchi e dove il 3 ottobre del 2013 persero la vita 366 migranti. La strage, però, non rientra nella fiction, che si ferma a raccontare i salvataggi. Resta da capire, quindi, se l’obiettivo è quello di sensibilizzare le persone ad un tema che, invece, suscita istinti xenofobi o se si tratti semplicemente di uno spot alla Capitaneria di Porto.