La terza puntata della rubrica, curata da Ibrahim Traore, per conoscere la situazione nei Paesi da cui fuggono i migranti giunti in Europa ci porta in Guinea Conakry. Tra colpi di Stato e scontri etnici usati strumentalmente dai politici per salire al potere, nel Paese regna il caos e molti preferiscono andarsene per crearsi una vita altrove

Cos’è la Guinea Conakry?

La Guinea Conakry è uno Stato dell’Africa occidentale, che confina con Guinea-Bissau e Senegal a nord, Mali a nord e nord-est, Costa d’Avorio a sud-est, Liberia e Sierra Leone a sud, Oceano Atlantico a ovest.
La situazione di instabilità è dettata da scontri etnici, problemi che si registrano un po’ ovunque in Africa, dove pullulano la xenofobia e il tribalismo. Spesso, però, gli scontri etnici sono cavalcati strumentalmente dai politici per ragioni di potere.
Quando al comando si trova la parte avversa, un’etnia rischia di subire vere atrocità.

In Guinea Conakry si fronteggiano principalmente i “Peul” e i “Malinké”. I primi sono l’etnia più popolosa e installata da secoli nel Paese, ma sono visti dagli altri popoli come stranieri che non hanno diritto a prendere il potere. Il commercio ed il trasporto sono in maggioranza controllati dai Peul, mentre l’amministrazione pubblica e l’esercito sono in maggioranza controllati dalle altre etnie, in particolare i Malinké, la minoranza etnica di cui fa parte l’attuale presidente, Alpha Condé.

La crisi della Guinea Conakry inizia il 23 dicembre 2008 quando, a 74 anni, Lansana Conté, il generale di etnia Susu e presidente da molti anni in seguito a sanguinose lotte di potere, muore al termine di una lunga malattia. Lo stesso giorno l’esercito guineano attua un colpo di Stato, sospendendo ogni attività politica e sindacale, sciogliendo l’Assemblea Nazionale e sospendendo la costituzione. Il giorno successivo 24 dicembre, il capitano Moussa Dadis Camara prende il potere e si autoproclama presidente della Guinea Conakry.

Il nuovo regime avrebbe avuto un presidente scelto fra i militari e un primo ministro civile (le due cariche toccarono poi rispettivamente allo stesso Camara e al banchiere Kabiné Komara). Questa situazione viene dichiarata transitoria: il Consiglio Nazionale avrebbe cioè governato il Paese fino alle nuove elezioni, in vista delle quali Camara esclude di candidarsi alla presidenza. La giunta militare incassa l’appoggio del primo ministro Souaré, e l’anno 2009 si apre con Moussa Camara saldamente al potere in Guinea.

Il 28 settembre dello stesso anno, gli uomini di Camara massacrano 157 persone e ne feriscono più di mille durante una manifestazione di protesta nella capitale Conakry. Seguono violenze e stupri e la reazione della stampa internazionale. Il 3 dicembre, il capo delle guardie presidenziali, il tenente Abubakar “Toumba” Diakite spara a Camara un colpo di pistola alla testa, ferendolo gravemente. Diakite dichiara alla stampa che Camara aveva tradito le speranze di democrazia del paese ed ordinato il massacro.

Nel novembre 2010, per la prima volta dopo più di 50 anni, si svolgono elezioni giudicate relativamente libere e trasparenti. Da queste elezioni è uscito vincitore il leader del partito d’opposizione Alpha Condé che diventa presidente promettendo riforme per il Paese.
Il 12 ottobre 2015 si svolge la seconda elezione presidenziale dal 1958. Sei milioni di cittadini sono stati chiamati a scegliere se riconfermare per un secondo mandato il presidente uscente Alpha Condé, oppure premiare uno dei 6 sfidanti, tra cui l’ex primo ministro Cellou Dailen Diallo.

Le ferite e le divisioni nel Paese sono ben visibili nei due principali candidati rivali in corsa per la presidenza: Condé appartiene alla minoritaria etnia Malinké e guida il partito Rally of the Guinean People. Diallo fa parte della più popolosa etnia Peul e presiede la Union of Democratic Forces of Guinea, alleata al partito di Camarà, ex militare golpista.
I malinké e i peul si fronteggiavano e si fronteggiano in scontri frequenti, manipolati dalla politica. Il caos che si genera induce molte persone a lasciare il Paese per andare a rifarsi una vita altrove.

Ibrahim Traore