Cohousing, coworking, car pooling. Sono solo alcune delle pratiche promosse dal Movimento per la Decrescita Felice che gli italiani stanno riscoprendo a causa della crisi economica. L’intervista a Maurizio Pallante.

A certificare la tendenza è Immobiliare.it: in un solo anno sono aumentate del 14% le famiglie che prendono in affitto solo una parte della casa, non potendo far fronte alle spese che comporterebbe la locazione di un appartamento intero. E così, a causa della crisi, gli italiani riscoprono il cohousing, una pratica di convivenza e condivisione che, per come è stata pensata, dovrebbe costituire una scelta consapevole, ma che a causa delle difficoltà economiche per molti diventa una scelta obbligata.

È solo uno dei tanti esempi dell’Italia della crisi, che sta vivendo sulla sua pelle una decrescita “forzata”. A postulare invece, ormai diversi anni fa, la “decrescita felice“, è stato il filosofo ed economista francese Serge Latouche e il suo discepolo italiano Maurizio Pallante. “Queste pratiche sono indotte dalla crisi – afferma Pallante ai nostri microfoni – e se vengono vissute come una costrizione diventano un vincolo o un limite, ma se vengono vissute consapevolmente come forma di collaborazione e solidarietà sono dei passi in avanti rispetto ad un contesto in cui gli individui sono isolati e soggetti alle merci e al mercato”.

La crisi, dunque, rappresenta un’opportunità per rimettere in discussione i propri stili di vita. “In cinese – osserva Pallante – l’ideogramma di crisi è composto di due elementi: quello del pericolo e quello dell’opportunità. Noi siamo stati abituati a vivere in una società, dissipativa, mercificata, consumistica e isolata”. Aspetti che secondo il teorico della decrescita felice, prima delle ultime due generazioni, non hanno mai fatto parte dell’umanità, che invece ha sempre trovato delle forme di collaborazione, spesso basate sul dono. La comunità, lo scambio e l’autoproduzione, dunque, sono forme per emanciparsi dal mercato e uscire dalla crisi.

Tra le diverse pratiche per cercare di arrivare a fine mese, gli italiani riscoprono dunque la solidarietà. Oltre al cohousing, infatti, crescono la coltivazione di orti, i gruppi di acquisto solidale (gas), la condivisione di autovetture (carpooling) e forme di lavoro comunitario (coworking).
Un movimento silenzioso che, piegato dalla pressione fiscale e dall’austerity dei governi, si rimbocca le maniche e cerca di fare da sè. Il che non vuol dire rifiutare lo Stato o sottrarlo alle sue responsabilità. Alla dicotomia tra pubblico e mercato, infatti, la decrescita propone il concetto di “bene comune“, che si sta facendo strada.

“Alcuni servizi del welfare che pensavamo erogati per i cittadini, in realtà erano pensati per aumentare la produttività delle merci, come ad esempio affidare allo Stato l’educazione dei figli nei primissimi anni della loro vita”. In realtà, secondo Pallante, il servizio offerto vuole “liberare” il genitore dal tempo dedicato al figlio per dedicarlo al lavoro.
Le Istituzioni, del resto, non sembrano voler favorire cambiamenti di stili di vita, nè sul piano politico nè su quello culturale. “Il ritorno alla campagna e alle conoscenze manuali viene osteggiato dall’idea che la città sia bella perché offre la possibilità di acquistare merci e di avere tutto a portata di mano”.

Una speranza, però, c’è e secondo Pallante è rappresentata dall’aumento della consapevolezza, soprattutto dei giovani: “Nella Libera Università del Saper Fare, struttura del Movimento per la Decrescita Felice in cui si svolgono corsi per reimparare a fare le cose, partecipano soprattutto ventenni”.