Il centrodestra vince in Abruzzo col boom della Lega, primo partito al 28%. La crisi del M5S e i corteggiamenti di Berlusconi a Salvini, però, non faranno cadere il governo nell’immediato. Il Pd contiene le perdite col civismo, su cui puntano Calenda e Martina. L’assenza della sinistra e di un’alternativa alla base anche dell’astensionismo. Le interviste a Maurizio Acerbo e Carlo Galli.

Vittoria schiacciante in Abruzzo per il centrodestra: Marco Marsilio è il nuovo presidente della regione. Marsilio raccoglie il 48,03% dei voti, staccando il candidato del centrosinistra allargato, Giovanni Legnini, che si ferma al 31,28%. Il M5s finisce terzo con il 20,20% dei voti. Le due province che hanno premiato più di tutte il centrodestra sono state L’Aquila e Teramo.
L’affluenza registra una flessione consistente: ha votato il 53,12% degli aventi diritto, contro il 61,55% del 2014.

A trainare il centrodestra è stata la Lega. Quello di Salvini è il primo partito in Regione, con quasi il 28% che fa ancora più impressione dal momento che alle precedenti regionali il partito non era candidato.
Significativa la flessione del M5S rispetto alle elezioni politiche dell’anno scorso. Allora i grillini avevano collezionato un 39,8%, che oggi appare dimezzato. Se invece si raffrontano elezioni di stessa natura, cioè il risultato delle precedenti regionali, la flessione pentastellata è più moderata: -1,3%.

Un altro elemento che, secondo il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo, abruzzese di Pescara, va tenuto in considerazione è l’assenza per la prima volta di una lista di sinistra nella competizione. “La scelta di Sinistra Italiana di allearsi all’ultimo con il Partito Democratico – sottolinea Acerbo – non ha pagato e il Pd ha contenuto l’emorraggia grazie alle alleanze con numerose liste civiche”.

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L’elezioni in Abruzzo, però, sono state caricate di un portato nazionale e a testimoniarlo sono le reazioni di tutti gli schieramenti. Se Silvio Berlusconi continua a corteggiare Matteo Salvini, chiedendogli di tornare a formare un centrodestra unito, che secondo l’ex Cavaliere è “una maggioranza naturale” nel Paese, i risultati abruzzesi sono stati utilizzati anche dal Pd, in particolare da Carlo Calenda e Maurizio Martina, che individuano nel civismo, nonostante la sconfitta, la strada da percorrere per un rilancio del partito.

Il nodo centrale, però, rimane la tenuta del governo giallobruno. Che una sua possibile caduta, anche a causa dei quotidiani screzi interni, sia un tema all’ordine del giorno, lo confermano indirettamente le parole di Matteo Salvini e Giuseppe Conte questa mattina.
Al governo – dice Salvini – non cambia niente, nessun cambio, nessun rimpasto, il lavoro continua“. Una precisazione che viene ripresa anche dal premier: “Il dato mi sembra abbastanza chiaro, ma questo non cambia nulla per il governo centrale. Continuiamo a lavorare, non c’è nessun cambiamento all’ordine del giorno”.

Ai nostri microfoni, il politologo Carlo Galli osserva che la caduta del governo, in questo momento, non sarebbe favorevole a nessuno dei due partiti che lo compongono. Non lo sarebbe certamente per il M5S, che al contrario dovrebbe far pressione sulla Lega per far emergere meglio le proprie istanze.
Non sarebbe favorevole nemmeno per la Lega, che potrebbe essere colta dalla tentazione di capitalizzare subito il consenso. La storia elettorale, osserva il politologo, ci dice però che chi fa cadere un governo viene penalizzato nelle urne.

In ogni caso, secondo Galli, la Lega proseguirà il proprio trend di crescita di consenso. “Intorno alla Lega si va formando il blocco sociale che era stato della Dc e poi di Berlusconi – osserva il politologo – L’Italia moderata è divenuta nel frattempo molto più radicale e si va progressivamente riconoscendo nella Lega. Il voto di protesta del sud che si era coagulato intorno ai 5 Stelle si sta ricoagulando intorno alla Lega, come nel nord la Lega prende voti di popolazioni che godono di livelli di esistenza molto superiore. Riuscire a fare stare insieme realtà così diverse è un segno tipico di egemonia“.

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