La protesta dei pastori sardi per il crollo del latte mette in evidenza un problema della filiera comune a molti prodotti agricoli. I meccanismi del latte sono gli stessi che portano al caporalato: i prezzi stracciati imposti ai produttori generano povertà e sfruttamento. Una riflessione con Pierpaolo Lanzarini di Campi Aperti.

Pastori sardi: La parola di Campi Aperti

La protesta dei pastori sardi  ha prepotentemente riportato all’attenzione dell’opinione pubblica i problemi del settore agroindustriale. I meccanismi della filiera produttiva generano prezzi che impediscono agli allevatori ovini di coprire i costi di produzione, al punto che, con una protesta eclatante e scenografica, i pastori hanno deciso di rovesciare il latte per le strade, dal momento che il loro lavoro non trovava un riconoscimento adeguato.

Il problema sollevato nella filiera del pecorino, però, non è un caso isolato. L’industria del latte e casearia hanno il loro ciclo e le loro specificità, ma il paradigma che genera il problema è comune a tutto il modello dell’agroindustria, ai suoi meccanismi iniqui che generano povertà e sfruttamento.
Così non è azzardato fare il parallelo tra i fenomeni del caporalato per le arance e i pomodori e la questione emersa in questi giorni con la protesta dei pastori.

“I meccanismi dell’agroindustria tentano di scaricare tutta la riduzione dei costi sulla produzione“, sottolinea ai nostri microfoni Pierpaolo Lanzarini di Campi Aperti. L’associazione di contadini biologici e autorganizzati ha espresso nei giorni scorsi la propria solidarietà ai pastori sardi, perché nella protesta vede le ragioni che hanno portato gli agricoltori nostrani ad organizzarsi per dare vita ad un nuovo e alternativo modello produttivo e distributivo.

Se i produttori, che siano agricoltori o allevatori, non percepiscono un equo compenso per il proprio lavoro, arrivando ad autosfruttarsi o a sfruttare i dipendenti, il prezzo finale praticato al consumatore non è propriamente economico.
Dove sta allora il rincaro dei prezzi? “Sta nel mezzo – spiega Lanzarini – ed è giocato tra i grossisti, la Grande Distribuzione Organizzata e i grandi marchi dell’agroindustria”. Una filiera molto lunga in cui chi ha più potere economico lo trasforma in potere contrattuale.

“A rimetterci però siamo tutti, visto che condividiamo lo stesso pianeta – continua l’esponente di Campi Aperti – Visti i prezzi stracciati praticati ai produttori, questi sono indotti ad incrementare la produttività con prodotti chimici di sintesi, meccanizzazione e input energetici e ciò genera problemi di tipo ambientale, che ormai sono sotto gli occhi di tutti”.

Il livello di complessità di questo mercato, però, non permette di risolvere il problema con una singola misura.
In base alla sua esperienza, Campi Aperti osserva che gli interventi necessari sono di vario tipo: dall’accorciamento della filiera produttiva alla revisione della legislazione igienico-sanitaria che penalizza i piccoli produttori, dal contenimento dello strapotere urbanistico della Gdo (che porta le città a riempirsi di supermercati) ad un lavoro culturale sui consumatori e sulla politica.

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